Un vero e proprio regalo di Natale per i cinefili perugini quello che hanno impacchettato al cinema PostMod di Perugia. A presentare il suo nuovo film ‘Santiago, Italia’, domenica 23 dicembre sarà lo stesso regista Nanni Moretti. Un’occasione per presentare la pellicola, già accolta trionfalmente al festival di Torino e per festeggiare il quarto compleanno del cinema di via del Carmine.
Il colpo di stato in Cile
«Io non sono imparziale, io non sono imparziale». Lo afferma, e lo ribadisce Nanni Moretti parlando con un componente della giunta militare di Pinochet, in quel di Santiago del Cile. A quasi trent’anni da ‘La cosa’ Moretti torna al documentario, e con ‘Santiago, Italia’ sceglie di raccontare con archivi ed interviste sul campo, ciò che seguì al colpo di stato in Cile del 1973, alla morte del presidente Salvador Allende e all’instaurazione della dittatura militare di Augusto Pinochet. Una storia di violenza, ma allo stesso tempo di accoglienza, che lo stesso Moretti racconterà incontrando il pubblico del PostModernissimo in occasione delle proiezioni previste alle 17.30 e alle 19.30.
Film-documentario
Come già avvenuto nelle sue opere di fiction a cominciare da ‘Il caimano’, Moretti si fa da parte, relega la sua voce e il suo corpo in un fuori campo passivo-attivo. Lo vediamo nella prima immagine di spalle, davanti alla vastità della metropoli cilena. Quasi a cercare un punto di vista e una distanza da cui far iniziare questa sua trasferta sudamericana che alla fine si riflette in un ritorno a casa, in un parlare ‘a noi’. Il Moretti autore qua e là si concede qualche firma autoreferenziale o il finale musicale che come sempre suggerisce tracce di un possibile altro film. Ma i suoi controcampi di intervistatore servono soprattutto a interagire con i personaggi per creare una connessione affettuosa, trovare il giusto accordo con cui coniugare la storia pubblica con quella privata.
La pellicola
Il documentario firmato dal regista romano è distribuito da Academy Two e si snoda in quattro capitoli per raccontare il colpo di stato in Cile nel 1973. Prima, durante e dopo. Si inizia con il triennio di Unitad Popolar del governo Allende, poi il golpe dell’11 settembre, le persecuzioni e le torture dei militari, l’ambasciata italiana di Santiago che accoglie centinaia di rifugiati, fino al finale viaggio in Italia, verso una nuova vita e un Paese molto diverso da come è oggi. È un incedere serrato, ma mai sensazionalistico quello di “Santiago, Italia” di Nanni Moretti, che firma un documentario politico, certo, ma soprattutto intimista nei toni, nello stile e nelle dimensioni .Il materiale di repertorio è usato con parsimonia ed essenzialità, per lasciare ampio spazio alle interviste ai rifugiati, che raccontano la loro esperienza al regista.
Operazione nostalgia
Due decenni dopo quelle tracce documentaristiche raccontate in ‘Aprile’ ma mai esplorate davvero, il regista romano sembra finalmente aver raggiunto la sicurezza (o forse la necessità?) per raccontare le storie degli altri. Chiaramente il suo è un film sull’accoglienza, che soprattutto nell’ultima parte parla chiaramente all’Italia e all’Europa di oggi. Ma è anche un piccolo caro diario sull’ascolto, sul valore umano della ricezione. E in questo la semplicità formale del cinema morettiano diventa preziosa nel delineare eticamente il calore della condivisione. Ne viene fuori una polifonia di voci, caratteri e ricordi che ha il sapore delle confessioni sussurrate, degli echi e dei sentimenti che arrivano da lontano e resistono all’inesorabile incedere del tempo. Del resto ‘Santiago, Italia’ è un’opera anche intrinsecamente nostalgica (è soprattutto qui che alcuni detrattori potrebbero affondare il colpo), che non solo guarda a un’epoca in cui il socialismo democratico era un’alternativa politica e culturale condivisa, ma sembra ripercorrere i tracciati generazionali di una giovinezza inesorabilmente trascorsa. In fin dei conti tutti in Santiago, Italia – dal regista agli intervistati – sembrano riappropriarsi, nel breve spazio di un’intervista o nella determinazione di una convinzione politica, della gioiosa ebbrezza e dell’incoscienza dei vent’anni. L’insolito freeze frame con cui Moretti chiude il film da questo punto di vista è tanto una sottolineatura ideologica accessoria, quanto, forse, il malinconico tentativo di fermare, in qualche modo, l’incedere della vita e del mondo.