Speranze da Perugia per il linfoma di Hodgkin

I professori Falini e Tiacci hanno ottenuto un grant di ricerca da 450 mila euro per la sperimentazione clinica di una nuova terapia di precisione

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L’attività della struttura complessa di ematologia con trapianto di midollo osseo dell’azienda ospedaliera di Perugia, continua a mietere successi sia sul fronte scientifico che assistenziale. È di questo periodo la notizia che i professori Brunangelo Falini ed Enrico Tiacci dell’università di Perugia, sono risultati vincitori di un grant di ricerca finalizzata pari a 450 mila euro del ministero della sanità, che andrà a finanziare la sperimentazione clinica di una nuova terapia di precisione del linfoma di Hodgkin.

Al vertice

Il progetto, che verrà condotto presso l’azienda ospedaliera di Perugia diretta dal dottor Marcello Giannico, ha avuto il quarto miglior punteggio tra più di 230 progetti finanziati dal ministero, dopo una rigorosa selezione da parte di revisori internazionali delle quasi 1.400 proposte pervenute inizialmente da tutta Italia. Si tratta, tra l’altro, dell’unico progetto finanziato in Umbria.

La speranza parte dall’Umbria

«Il linfoma di Hodgkin – spiega il professor Falini – è un tumore che nasce dal sistema linfatico e colpisce prevalentemente gli adolescenti e giovani adulti. In Italia, si registrano più di 2 mila nuovi casi ogni anno che sono curabili in elevata percentuale, utilizzando la chemioterapia e radioterapia, da sole o in combinazione, e, nelle situazioni più problematiche, l’immunoterapia o il trapianto di midollo osseo. Nonostante il linfoma di Hodgkin risulti tra i tumori in cui sono stati fatti i maggiori progressi, circa il 15%-20% dei pazienti ancora soccombe di questa malattia». Nel tentativo di migliorare ulteriormente questa situazione, circa 2 anni fa i gruppi di ricerca diretti dai professori Falini e Tiacci, entrambi operanti nel centro di ricerche onco-ematologiche (Creo), hanno condotto uno studio di sequenziamento del DNA volto a svelare il mistero delle alterazioni genetiche che causano il linfoma di Hodgkin, nella speranza che questa conoscenza potesse contribuire a mettere a punto nuove terapie mirate contro questo tipo di tumore, nelle situazioni in cui esso è resistente ai trattamenti convenzionali. «L’impresa si è rivelata piuttosto ardua – dice il professor Tiacci – perché il DNA delle cellule tumorali di Hodgkin è difficile da sequenziare in quanto esse sono presenti solo in minima percentuale (meno del 5%, ndR) nel tessuto patologico. Per superare questo ostacolo, è stato necessario purificare le cellule tumorali, separandole da quelle normali, utilizzando un microscopio a raggi laser di diversa intensità che permettono prima di ‘ritagliare’ una ad una le cellule tumorali dal tessuto e poi di catapultarle in una provetta. Una volta raccolte fra le mille e le duemila cellule tumorali per paziente – continua Tiacci -, si è proceduto all’estrazione, amplificazione e sequenziamento degli oltre 25 mila geni del DNA tumorale, mettendoli a confronto con quelli del DNA normale del medesimo paziente». Un lavoro titanico, portato avanti dal dottor Gianluca Schiavoni, che ha permesso di sequenziare circa 50 mila cellule tumorali da 34 pazienti e di identificare mutazioni della via del segnale JAK-STAT, presenti nel 90% dei casi. I risultati di questo lavoro sono stati pubblicati nell’ autorevole rivista Blood che li ha considerati tra i migliori del 2018. Nel progetto finanziato dal ministero della salute, Falini e Tiacci cercheranno di trasferire questo bagaglio di conoscenze genetiche dal laboratorio alla clinica, insomma un altro esempio di terapia traslazionale che è sempre stata uno dei cavalli di battaglia dell’istituto di ematologia di Perugia. «Il protocollo clinico – aggiunge Falini – prevede il trattamento di pazienti con linfoma di Hodgkin resistenti alle terapie convenzionali, utilizzando un farmaco chiamato ruxolitinib che si assume per via orale e va proprio a colpire le mutazioni di JAK1/2 attive in questo tipo di linfoma. Per aumentarne l’efficacia, il ruxolitinib verrà impiegato in combinazione con l’immunoterapia, cioè con anticorpi monoclonali come il brentuximab e il nivolumab». L’efficacia del trattamento verrà valutato, oltre che con metodiche tradizionali come la TAC-PET, anche con tecniche molecolari sofisticate, come la biopsia liquida che permette di rilevare la presenza di mutazioni tumorali direttamente in un prelievo di sangue. I risultati preliminari di questo nuovo approccio terapeutico in due giovani pazienti con linfoma di Hodgkin, si sono rivelati molto promettenti, così che il futuro sembra offrire migliori prospettive di cura e remissione della malattia.

Ospedale e università insieme

«L’ematologia – spiega il direttore generale del ‘Santa Maria della Misericordia’, Giannico – è una struttura di eccellenza nel nostro ospedale punto di riferimento per la ricerca scientifica internazionale in campo ematoncologico, come testimoniato dai numerosi risultati raggiunti che incoraggiano nel proseguire nella direzione tracciata». Soddisfatto anche il rettore di UniPg, Maurizio Oliviero: «La ricerca medica condotta all’interno delle istituzioni pubbliche – afferma – è un bene prezioso che va difeso e valorizzato, in quanto rappresenta il futuro di tutti noi. Al professor Brunangelo Falini, un’eccellenza assoluta della ricerca ematologica e oncoematologica internazionale, così come al professor Enrico Tiacci, vanno la riconoscenza della comunità accademica per il prezioso lavoro svolto. L’ateneo è pronto a sostenere e valorizzare sempre più le sue eccellenze».

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