Terni, c’è la ‘zuccona’, ma anche gli zucconi

Dice: «Incartiamola e portiamola via». E che si fa con tutti i palazzi sfregiati e ricoperti di scritte? Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

Senza pace, a Terni, la ‘zuccona’ della Passeggiata, quella antica pietra che raffigura una sfinge e che vanta un passato glorioso.

Può infatti vantare secoli di onorato servizio, prima come ornamento della chiesa di San Giovanni Decollato e poi ai giardini pubblici, dove fu posta in ossequio dell’usanza un po’ becera di depositare materiale archeologico nel parco pubblico.

Il compito svolto alla Passeggiata non era poi così umiliante. Sì, uno scalpellino aveva fatto in modo che dalla sua bocca uscisse una cannula da cui sgorgava l’acqua potabile, ma c’era una certa gratificazione nel dissetare generazioni di ternani che, piegandosi per bere a garganella, al fine di non perdere l’equilibrio si appoggiavano al seno di pietra, ma prosperoso.

Rispettata per decenni. Finché uno ‘scienziato’ in chissà quale ufficio, pervaso da profondo senso civico perché l’acqua è bene prezioso, ha pensato bene che valeva la pena risparmiarne una ventina di litri al giorno: quello che che si recupererebbe – magari – riparando un paio delle innumerevoli perdite della rete idrica cittadina.

Ci ha voluto un rubinetto, lo ‘scienziato’, ma – sia chiaro – uno adatto alla bisogna: tutto in acciaio inossidabile, bello, lucente: l’asso di coppe per completare a modo un reperto archeologico come quello. Poco importa se per incastonare il rubinetto si scava la groppa del corpo di leone con un frullino. D’altra parte quella ‘ferita’ basta chiuderla per benino col cemento bianco. E il capolavoro è fatto.

Se l’esempio è questo, vuoi che un qualche maniaco della vernice spray non si senta autorizzato a ‘usare’ la vernice nera? E così nuovo sfregio, il secondo.

Adesso è la volta degli acculturati d’accatto, quelli che, dimenticato in un cassetto il diploma preso alle scuole ‘tre anni in uno’ s’investe del ruolo di paladino e non è riuscito ad andare oltre una generica richiesta di rimuovere la sfinge e metterla in un luogo protetto. Forse nella vetrina di un negozio di termoidraulica?

Un metodo di tutela delle opere d’arte o della cultura cittadina che appare quanto meno ‘da poco’. Il lavoro da fare – ma chi glielo spiega? – probabilmente è ben diverso, difficile e lungo: serve un’opera di sensibilizzazione, di promozione della conoscenza. C’è bisogno che gli esaltati della bomboletta spray si rendano conto di quel che fanno quando spruzzano vernice ‘ad capocchiam’. Un’opera che comincia magari mandando ad occuparsi di rubinetti – vista la particolare propensione – certi dipendenti pubblici ignoranti.

Nascondere la sfinge non ferma la mano del verniciatore, anche perché non si può incartare e rimuovere ogni cosa, anche perché pare operazione a volte complicata: come fare – ad esempio – ad incartare il fabbricato che ospita il liceo scientifico di via Primo Maggio? E il palazzo del liceo Classico?

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