Terni, Comune vs Cts poligoni tiro: opere abusive, Consiglio di Stato chiude la partita

Sentenza della VI sezione: «La gran parte delle opere insistenti sull’area, che oltretutto è sottoposta a vincolo paesaggistico, sono abusive». Il ricorso al Tar è del 2014

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di S.F.

Otto anni. Dal 10 luglio 2014, quando fu depositato l’originario ricorso al Tar Umbria, alla giornata odierna, segnata dalla pubblicazione della sentenza che chiude in via definitiva la partita: il Consiglio di Stato – VI sezione giurisdizionale, presidente Giancarlo Montedoro – si è espresso sul lungo scontro che ha visto coinvolti il Comune di Terni e Cts Poligoni di Tiro srl, difesi rispettivamente dagli avvocati Paolo Gennari e Giovanni Ranalli. Il motivo è legato a presunte opere abusive contestate da palazzo Spada già un decennio fa. Di mezzo poi ci sono finiti anche la Regione ed un ‘verificatore’ esterno per tutti i check del caso. Riformato parzialmente il provvedimento di I grado, ma in concreto poco cambia.

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Un’area di tiro al Cts

Breve sintesi: demolizione e ricorso 

Alcune premesse. Il Cts è titolare del diritto di superficie dell’area in strada di Marmore – impossibile non notarla, è sulla destra salendo da Papigno verso la frazione ternana – che, tempo fa, era adbita a cava. Ora è un centro di tiro sportivo molto noto. Il Comune nel 2008 ordinò la demolizione di quattro box in legno prefabbricato, l’ampliamento della strada esistente e la realizzazione di un nuovo tratto. Già per questo si arrivò al Tar. Second step, ottobre 2013: da palazzo Spada partì l’ingiunzione alla sospensione dei lavori in essere e, a chiudere il cerchio, il 5 giugno 2014 si riattivò per dare l’input di demolire le opere ritenute abusive. Tutto impugnato al Tribunale amministrativo regionale dalla società.

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Il Tar dichiara la carenza d’interesse

In seguito il Comune – siamo nel 2017 – rigettò l’istanza di sanatoria della società che, in risposta, ha impugnò tutto con ricorso straordinario al Capo dello Stato. Passaggio chiave il 2019, quando il Tar dichiarò l’improcedibilità del ricorso del 2014 per sopravvenuta carenza di interesse. Motivo? «L’istanza di sanatoria ed il conseguente suo diniego comportano l’inefficacia dell’originaria ingiunzione di demolizione e la sostituzione di quest’ultima con un nuovo atto sanzionatorio ed un nuovo termine per la relativa esecuzione». La Cts ha proposto appello perché la presentazione dell’istanza non «determina l’improcedibilità dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione». Visione che è stata giudicata corretta dal Consiglio di Stato. Ma i motivi di ricorso non sono stati accolti.

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L’area coinvolta in località Monte Sant’Angelo

Le opere e la lamentela

Diverse i motivi presentati dalla società per far cadere il provvedimento del Comune. Esempio? Secondo l’appellante, nel caso di abuso edilizio, «in presenza di una posizione di affidamento nel privato – dovuta al lungo protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, ovvero al non aver egli contributo alla realizzazione degli abusi contestati – si richiede per l’adozione dell’ordinanza di demolizione un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato». Inoltre l’area dove «viene esercitata l’attività dalla società è stata oggetto di un ulteriore accertamento concluso con l’ordinanza di demolizione 21798/08. Tale circostanza rende del tutto incerto l’accertamento compiuto nell’ordinanza di demolizione 81355/14, atteso che nel 2008 – in una situazione dello stato dei luoghi immutata – il Comune di Terni non aveva ravvisato alcun ulteriore (presunto) abuso oltre a quanto contestato con l’ordinanza di demolizione n. 21798/08». Tutto infondato per il Consiglio di Stato.

Le opere in questione ed il verificatore

Per la società inoltre è sbagliato l’assunto base del Comune che ha ritenuto «che l’insieme delle opere abusive  e le loro difformità riscontrate rispetto ai titoli edilizi rilasciati, sono da considerarsi come nuove costruzioni, realizzate in assenza dell’autorizzazione paesaggistica». In tal senso nel 2020 il Consiglio di Stato ordinò di attivare un ‘verificatore’ esterno della Regione: mirino sul magazzino (riscontrato un utilizzo di parte dello stabile a bar), una pensilina per il tiro (rilevata la mancata presentazione del titolo abilitativo di tipo edilizio o paesaggistico), officina in carpenteria metallica («non risulta essere stata autorizzata dal Comune di Terni per gli aspetti edilizi, né dalla soprintendenza per il vincolo paesaggistico», si legge nella relazione istruttoria), ulteriori pensiline al secondo livello («il verificatore ha evidenziato un notevole scostamento rispetto a quant previsto nel progetto autorizzato»), un wc al terzo livello («segnalata una diversa localizzazione rispetto a quanto autorizzato»), deposito piattelli (ravvisate «alcune lievi differenze rispetto a quanto autorizzato»), un manufatto in adiacenza alla pensilina («non risulta presentata alcuna richiesta di titolo abilitativo, edilizio o paesaggistico)».

Il Consiglio di Stato

Il giudizio del Consiglio di Stato: opere abusive

In definitiva? Nella sentenza il Consiglio di Stato scrive che «alla luce dell’approfondimento istruttorio, deve concludersi che la gran parte delle opere insistenti sull’area, che oltretutto è sottoposta a vincolo paesaggistico, sono abusive. Non inficia tale conclusione il fatto che alcune opere indicate nei provvedimenti impugnati sono state nelle more già demolite, né il fatto che per alcune opere ‘minori’ possa ritenersi non necessario il permesso a costruire. Infine, la natura abusiva delle opere risulta indirettamente confermata dalla stessa condotta dell’appellante che ha presentato un’istanza di sanatoria delle stesse. Tale procedimento è sfociato in un provvedimento di rigetto la cui impugnazione, con ricorso straordinario, è stata respinta con il decreto del presidente della Repubblica del 18 febbraio 2022 che, nel non ravvisare i presupposti della sanabilità delle opere, ne ha evidentemente riconosciuto la natura abusiva». Sentenza e questione chiusa dopo poco meno di un decennio.

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