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Home » Terni, per il lavoro serve una spinta vera

Terni, per il lavoro serve una spinta vera

di Marco Torricelli
27 Ottobre 2016
in Economia, Il corsivo, Imprese, Lavoro
Tempo di lettura: 2 minuti di lettura
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di Walter Patalocco

Qualificazione, dinamismo, innovazione: in queste tre parole sta la possibilità di crescita per un sistema economico-produttivo. Non è una novità, certo. Si tratta di concetti che si sente sostenere da ogni parte. Ma per i più riottosi c’è anche la prova che è così. A fornirla sono i dati Unioncamere, relativi alla provincia di Terni, resi noti nei giorni scorsi dalla Camera di Commercio. Il quadro non è incoraggiante.

I dati suggeriscono l’urgenza di una spinta vigorosa, che passa pure attraverso un’azione culturale che spinga lo sguardo anche al di là dell’esistente, su cui si deve poter contare ma non fino al punto di ritenere che l’esistente possa assicurare chissà quale futuro. Lo stato dell’arte è tale da richiedere servono  il cui frutto – chiaramente – non potrà essere colto nel breve periodo.

I numeri riguardanti le imprese della provincia di Terni e relativi al terzo trimestre 2016, dicono che sono in sofferenza i settori del commercio, delle attività manifatturiere, dei servizi di alloggio e ristorazione confermando l’impressione che chiunque può avere facendosi una passeggiata per le vie cittadine: quante vetrine un tempo specchio di attività fiorenti sono oggi ridotte al ruolo di “tabellone” per l’affissione di manifesti e locandine? Quante saracinesche chiuse s’incontrano?

Commercio in crisi. Come i servizi di alloggio e ristorazione, che poi sarebbero le strutture ricettive, ma anche i bar di cui si è potuta notare un moltiplicazione rapida, con altrettanto rapida – in moltissimi casi – chiusura. L’artigianato? Ormai è una rarità.

Crescono le attività nel settore delle costruzioni (“santo” mattone!), l’agricoltura (+8%) le “altre attività di servizi” non meglio identificati.

Tutto a rotoli, allora? Fortunatamente no. I dati sull’occupazione – sempre Unioncamere – per il 2016 indicano una strada, e quindi mantengono accesa la possibilità di riprendersi. Non che l’occupazione sia in crescita, ché anzi v’è un calo dell’1% calcolato sull’anno. Essa è in sostanza stabile, a voler essere positivi, mentre, però, gli “altri” marciano: l’Umbria registra un +3 e l’Italia un +6.

Un calo riscontrabile nel dato relativo ai nuovi contratti di dipendenza (1.840 e meno 1%) mentre aumentano del 52% le altre forme contrattuali (rapporti di lavoro non stabili) con la diminuzione consistente dei contratti a termine. La previsione è che i contratti a tempo indeterminato alla fine dell’anno registreranno un decremento del 5% mentre aumenteranno le assunzioni part time (+4%).

Dal fronte dell’occupazione vengono altre indicazioni più significative: le imprese che dichiarano di voler procedere a nuove assunzioni sono in maggioranza quelle che esportano la loro produzione e che realizzano innovazioni. Sono le più “sane”, di dimensione media (il 92,9% ha più di cinquanta dipendenti) ed il 36,3% di esse dichiara di avere intenzione di assumere

Ma quali figure professionali sono richieste? Nel 2016 hanno trovato il posto 220 specialisti e tecnici, 790 tra impiegati e dipendenti del commercio e dei servizi in possesso di qualifica, 830 sono state le assunzioni di personale non qualificato, che in numero assoluto restano al vertice della graduatoria, ma in calo del 9%, mentre c ‘è una crescita delle assunzioni di profili intermedi. Innovazione nelle imprese, qualificazione dei lavoratori. Non sono solo chiacchiere, il trend è chiaro.

Poi, chi vuole, può sempre continuare a cercare palliativi emigrando a Londra.

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