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Home » La truffa dei pannelli è partita dal perugino

La truffa dei pannelli è partita dal perugino

di Redattore
12 Febbraio 2020
in Ambiente e salute, Cronaca
Tempo di lettura: 4 minuti di lettura
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Ordinanza di custodia cautelare per sette soggetti – oltre a diversi sequestri – nell’ambito della vasta operazione, coordinata dalla Dda di Perugia, messa in campo dai carabinieri del Noe di Perugia in diverse regioni italiane. Le misure sono scattate nelle province di Perugia, Bari, Bologna, Monza, Padova, Parma, Reggio Emilia, Roma, Siracusa, Treviso e Verona. Ma tutto è partito da un sopralluogo a Gualdo Tadino, nella sede della Raeegest di Renzo Gatti, fra gli arrestati . La contestazione è associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti.

ECCO L’AZIENDA DI GUALDO TADINO DOVE TUTTO È NATO

Numeri imponenti

Oltre ai sette arrestati – cinque finiti in carcere, tutti imprenditori, e due ai domiciliari – le misure riguardano altre quindici persone: otto colpite dall’obbligo di dimora e di firma, altre cinque dal solo obbligo di firma e due imprenditori a cui è stato imposto il divieto temporaneo di esercitare l’attività aziendale. Nel dettaglio le contestazioni parlano di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti – anche pericolosi -, gestione illecita di rifiuti, traffico transfrontaliero illecito di rifiuti, auto-riciclaggio, contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi e altre condotte illecite. Contestualmente, su ordine del gip di Perugia, i militari hanno sequestrato dodici strutture aziendali, tutte operanti nel settore del recupero dei rifiuti – in gran parte provenienti dalla dismissione di campi fotovoltaici -, compresi i beni immobili e mobili strumentali allo svolgimento dell’attività di impresa per un ammontare di circa 40 milioni di euro.

Denunce a raffica

Perquisiti anche cinque impianti operanti nello stesso settore ed in totale sono 38 le società connesse, nei confronti delle quali è stata riconosciuta la responsabilità amministrativa. Oltre alle 22 colpite dalle misure disposte dall’autorità giudiziaria, risultano denunciate a piede libero altre 71 persone che avrebbero operato per far ottenere profitti illeciti alle aziende indagate, per un totale di 93 soggetti coinvolti nella maxi indagine.

L’inizio

Il sistema era finalizzato all’illecita gestione di ingenti quantitativi di rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, per la maggior parte pannelli fotovoltaici dismessi e parchi solari in esercizio in diverse zone d’Italia. L’indagine è partita a fine 2016 con il sequestro, da parte del Noe di Perugia, di circa 300 tonnellate di rifiuti, anche pericolosi, presso un’azienda di Gualdo Tadino. Decine di migliaia di pannelli fotovoltaici che, sulla carta, sembravano regolarmente acquistati.

Il sistema scoperto a Gualdo

Tuttavia i dispositivi, che risultavano ancora funzionanti, venivano riciclati con dati identificativi appositamente alterati e nuovamente commercializzati prevalentemente su canali esteri, prediligendo le rotte africane del Senegal, del Burkina Faso, della Nigeria, del Marocco, della Mauritania nonché Turchia e Siria. Gli approfondimenti successivamente compiuti, sempre sotto la direzione della Dda perugina, hanno permesso agli investigatori di comprendere che i pannelli fotovoltaici presenti presso la Raeegest  di Gualdo Tadino erano, in realtà, rifiuti speciali fraudolentemente spacciati come apparecchiature elettriche cd elettroniche vetuste, grazie all’opera svolta dagli appartenenti al gruppo criminale, secondo il ruolo da ciascuno rivestito nell’organizzazione.

Una rete nazionale

Le investigazioni eseguite dal Noe di Perugia, corroborate dall’analisi delle altre evidenze investigative nel frattempo raccolte, sono risultate determinanti per accertare l’esistenza di più associazioni per delinquere finalizzate all’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, anche transnazionale, al riciclaggio, all’auto-riciclaggio, alla falsificazione materiale e ideologica di documentazione. I pericolosi sodalizi, per altro assai agguerriti nel reperimento dei pannelli fotovoltaici dismessi, sono risultati operativi in diverse regioni italiane, avendo però come organizzatori, promotori e attori principali cinque imprenditori – ora in carcere – con aziende dislocate a Gualdo Tadino (Perugia), Traversetolo (Parma), Casale sul Sile e Crespano del grappa (Treviso), e Siracusa.

Il sistema portato alla luce

Con grande disinvoltura, gli indagati ritiravano partite di pannelli fotovoltaici dismessi, dichiarati come rifiuti per il solo tempo necessario a coprire il tragitto tra il luogo in cui venivano smontati e prelevati e l’impianto di trattamento. Una volta ricevuti dagli stabilimenti, le aziende producevano delle dichiarazioni false che attestavano la loro distruzione e il contestuale recupero di materia (metalli vari, silicio, vetro, plastiche nobili e altre materie riutilizzabili), consegnando tale documentazione ai produttori originari del rifiuto che, del tutto ignari di ciò che accadeva una volta dismessi i vecchi pannelli, potevano chiudere il cerchio con il Gestore dei Servizi Energetici, riscuotendo il relativo incentivo. Per contro l’escamotage scoperto dai carabinieri per la tutela ambientale prevedeva la redazione, da parte di altri associati, di false certificazioni attestanti che i pannelli, nel frattempo muniti di etichette false, erano apparecchiature elettriche ed elettroniche tecnologicamente sorpassate ma regolarmente funzionanti. Circostanza che consentiva a tali rifiuti di aggirare il rigido sistema di controllo sia a livello nazionale che, attraverso il circuito doganale, sui canali esteri. Questo astuto sistema di riciclaggio assicurava agli appartenenti all’organizzazione un triplice guadagno: introitavano dapprima cospicue somme per il ritiro dei rifiuti dai produttori, successivamente eludevano i costi che avrebbero dovuto normalmente sostenere per il loro trattamento, infine rivendevano i pannelli fotovoltaici come apparecchiature elettriche usate ai paesi in via di sviluppo percependone il corrispettivo piuttosto che i costi di smaltimento del rifiuto.

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