Treofan, dai finanziamenti a Jindal ai brevetti: tutti i punti da chiarire

L’indagine della procura di Terni sulla ‘cassa’ Covid potrebbe avere nuovi sviluppi su altri fronti. Finanza al lavoro

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di F.L.

La cifra contestata – poco più di 15 mila euro – di per sé è abbastanza irrisoria, soprattutto per una multinazionale delle dimensioni di Jindal. Ma l’indagine della guardia di finanza di Terni, che mercoledì ha messo nero su bianco l’ipotesi di truffa allo Stato da parte dei vertici di Treofan per l’ottenimento della cassa integrazione Covid tra agosto e ottobre 2020 (quando di lavoro in fabbrica ce ne sarebbe stato eccome, se gli ordinativi non fossero stati spostati altrove) ha una valenza che va al di là dei numeri. È innanzitutto un segnale: il faro dell’autorità giudiziaria sulla vertenza è acceso e altri eventuali risvolti finora poco chiari, legati alla chiusura del sito, potrebbero emergere nelle prossime settimane.

TREOFAN, TRE INDAGATI

Il ruolo del Mise

Sulla questione della ‘cassa’ attivata con causale Covid – la contraddizione più lampante, anche agli occhi dei meno esperti della vicenda, a più riprese sottolineata da lavoratori, istituzioni e sindacati – fiamme gialle e procura hanno potuto e voluto dare un’accelerazione agli accertamenti. Nati d’ufficio, ha detto in conferenza stampa il procuratore capo Alberto Liguori, tramite «canali istituzionali, in particolari statali». Non è un mistero che al momento dell’annuncio di Jindal della messa in liquidazione della Treofan, a fine novembre scorso, il ministero dello sviluppo economico abbia dato input a segnalazioni a 360° alle autorità competenti, non solo sugli aspetti economici, ma anche ambientali e di sicurezza del sito. E infatti nel giro di pochi giorni nello stabilimento avevano fatto visita Agenzia delle Dogane, Noe e vigili del fuoco. Cosa sia emerso in quelle occasioni non è al momento dato saperlo, ma intanto i primi risultati sono arrivati dal fronte della guardia di finanza.

Gli altri punti che lasciano aperti dubbi

Oltre alla ‘cassa’ con causale Covid sono diversi gli aspetti rispetto ai quali le fiamme gialle – non solo ternane – potrebbero avere voce in capitolo. A partire dal finanziamento legato alla ricerca erogato alla Treofan dal Miur, per circa un milione di euro, nel quale, tra le clausole, rientrava l’impegno di mantenere le attività per cinque anni (le procedure per il rientro del finanziamento sarebbero state attivate a fine 2020). Ma da più parti si è anche chiesto di accertare il corretto utilizzo di un altro finanziamento, diretto allo stabilimento Jindal di Brindisi, concesso in questo caso dalla Regione Puglia, soprattutto in relazione allo spostamento di ordini dal polo chimico ternano ad altri siti produttivi del gruppo. La questione dei brevetti (in particolare quello del film per tabacchi era ‘un’esclusiva’ ternana), ma anche il tema della gestione dei macchinari potrebbero aggiungere ulteriore lavoro ai finanzieri, allo studio di tutto il materiale potenzialmente utile alle indagini.

Quali conseguenze per il futuro?

Tutti aspetti che, qualora venissero suffragati da eventuali ulteriori elementi di natura penale, potrebbero a loro volta ‘pesare’ sul tavolo che è destinato a riaprirsi al Mise per l’eventuale reindustrializzazione del sito e al quale la stessa Jindal è chiamata a partecipare. Anche perché la presunta crisi degli ordinativi registrata tra agosto e ottobre 2020 a causa della pandemia, che secondo la procura ha permesso a Jindal di accedere «illecitamente» alla cassa integrazione, è l’elemento cardine su cui si è fondata l’intera procedura di messa in liquidazione della società e quindi di licenziamento collettivo dei dipendenti. Per loro la ‘battaglia’, anche legale, potrebbe dunque non essere finita. Perlomeno, ora, sanno di non essere stati ‘dimenticati’ dalle autorità competenti.

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