Umbria, aprile-giugno: «Occupazione cresce»

Lo dice il rapporto Ires-Cgil che però rimarca: «Precarizzazione del lavoro sempre più evidente. Dare continuità alla nota positiva»

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di Mario Bravi
Presidente Ires Cgil Umbria

Dalle stime Istat relative al secondo trimestre 2018, emerge per l’Umbria un aumento degli occupati di 5 mila unità su base annua (fino a 358 mila). Contemporaneamente c’è una riduzione dei disoccupati che scendono a 35 mila unità (-8 mila rispetto al trimestre precedente e -6 mila rispetto allo stesso trimestre del 2017).

Indubbiamente, dopo molte rilevazioni che andavano in direzione esattamente opposta, si tratta di segnali positivi che vanno giustamente valorizzati. Ma per evitare giudizi acritici e superficiali e che si tratti di una parentesi meramente statistica, è utile e opportuno sottolineare i punti di criticità strutturali che permangono.

La qualità dell’occupazione che si è realizzata nel primo semestre è incentrata sulla precarietà e sulla provvisorietà. L’osservatorio nazionale dell’Inps ci conferma che oltre l’80% dei rapporti di lavoro ‘nuovi’ sono poveri e precari. Inoltre le cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono superiori alle attivazioni.

Serve, per consolidare la crescita dell’occupazione, puntare sui diritti del mondo del lavoro, evitando il fenomeno crescente dei ‘working poors’ cioè di chi pur lavorando, rimane povero. Questo spiega perché il Pil per unità di lavoro rimane in Umbria molto al di sotto della media nazionale, collocandosi a quota 87,2% con un –12,8% rispetto alla media del nostro paese.

Inoltre l’andamento del Pil complessivo non è sufficiente, alle condizioni date, a sostenere la necessaria qualità della crescita. Tra il 2008 e il 2014 abbiamo perso il 17,1% del Pil, di fronte ad una perdita a livello nazionale pari all’8,6% e dopo aver avuto in Umbria un +2,6% nel 2015, abbiamo chiuso in negativo sia il 2016 che il 2017 (anche se manca il dato definitivo Istat, ma Svimez stima un –1% per quanto riguarda il 2017).

Non a caso i dati recentissimi del ministero del Lavoro confermano queste valutazioni. Nei primi sei mesi 2018 sono stati attivati 36.266 rapporti di lavoro, corrispondenti a 28 mila lavoratori (visto che l’estrema precarietà spinge il lavoratore ad attivare più rapporti) e sono cessati 34.269 contratti corrispondenti a 25.550 lavoratori, con una differenza positiva pari a 2.450 unità.

Quindi è un dato l’aumento dell’occupazione, insieme all’accentuarsi ulteriore della precarietà, visto che meno di un contratto su cinque è a tempo indeterminato (il 16,2%) e inoltre c’è da sottolineare che il 74% delle attivazioni avviene nel comparto dei servizi.

Quindi se vogliamo, com’è evidentemente auspicabile, consolidare l’aumento dell’occupazione ed evitare che il dato del secondo trimestre 2018 costituisca una parentesi in un quadro che rimane pesantemente negativo, dovremmo cercare di sciogliere positivamente alcuni dei nodi che precedentemente abbiamo provato ad indicare.

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