Lieve incremento delle imprese in Umbria nel secondo trimestre del 2015: i dati diffusi da Unioncamere parlano di un tasso di crescita dello 0,71%, contro lo 0,29% dello stesso periodo del 2014. Una percentuale superiore al dato nazionale che fa segnare un +0,63%.
Il quadro Nei primi tre mesi del 2015, in Umbria, l’anagrafe delle imprese ha registrato 1.491 nuove iscrizioni a fronte di 818 cessazioni (saldo 673). Lo stock complessivo è di 95.344 imprese. In lieve calo il numero delle imprese artigiane (-0,05%) anche rispetto al 2014 che aveva visto una crescita dello 0,12%. Nel settore sono state 365 le nuove iscrizioni e 377 cessazioni, per un totale di 22.057 unità .
Le province Nel periodo preso in esame da Infocamere, attraverso la rilevazione trimestrale denominata ‘Movimprese’, la provincia di Terni risulta più attiva di quella di Perugia. La prima ha fatto registrare un tasso di crescita dello 0,99% – terzo dato in Italia – contro lo 0,63% della seconda. A Terni sono state 420 le nuove iscrizioni a fronte di 220 attività che hanno chiuso i battenti, mentre a Perugia hanno preso il via 1.071 attività contro 616 cessazioni.
Artigianato e fallimenti Numeri che si rispecchiano anche nel settore dell’artigianato: a Terni si sono iscritte 114 nuove imprese contro 92 cessazioni (+22 e tasso di crescita dello 0,44%), mentre a Perugia le iscrizioni sono state 251 a fronte di 285 chiusure (-34 unità e 0,2%). Dato umbro sostanzialmente stabile, a differenza di quello nazionale che fa registrare un calo, per quel che riguarda fallimenti e concordati: nessuna differenza rispetto al secondo trimestre del 2014 per le procedure fallimentari (63 imprese in entrambi i periodi presi in esame) e incremento di una sola unità per le procedure concorsuali, passate da 10 a 11.
Accesso al credito Sui temi economici, e in particolare dell’accesso al credito per le pmi, interviene il senatore Gianluca Rossi (Pd) – capogruppo in commissione finanze – che annuncia di aver presentato un’interrogazione al ministero dell’economia e al Mise per sbloccare gli oltre 200 milioni di euro che la legge di stabilità 2014 metteva a disposizione dei Confidi e delle piccole e medie imprese. «Il credit crunch – spiega Rossi – ha condannato le pmi a difficoltà crescenti durante le fasi acute della crisi perché il sistema bancario finisce per tutelare chi non ne ha particolare necessità , trascurando le realtà industriali che invece ne dipendono e che compongono il tessuto produttivo nazionale. Ancor più emblematico è che questo sistema di fatto impedisce ai fondi BCE di raggiungere i reali destinatari della misura. Per questo – conclude –  auspico una soluzione rapida delle difficoltà burocratiche dell’amministrazione centrale dello Stato, così da rendere efficace una politica industriale in linea con la legge delega approvata dal Senato sulla riforma dei Confidi».