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Home » Valentina, chirurgo di Arrone a Milano: «Un bollettino di guerra»

Valentina, chirurgo di Arrone a Milano: «Un bollettino di guerra»

di Fabio Toni
22 Marzo 2020
in Altre notizie, Ambiente e salute, Coronavirus, In evidenza
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
Valentina Bartolini

Valentina Bartolini

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di Federica Liberotti

Doveva essere ‘solo’ un’esperienza di qualche mese, nell’ultima fase del percorso di specializzazione, in una delle strutture pubbliche italiane più all’avanguardia nella lotta contro il cancro, l’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Invece si è trasformata in molto altro per Valentina Bartolini – 31enne specializzanda in chirurgia all’università di Perugia, ma anche consigliera comunale di Arrone, suo paese d’origine -, catapultata nel bel mezzo di una crisi sanitaria (e umana) senza precedenti, per il capoluogo lombardo ma anche per l’Italia intera. È lei a raccontare questa esperienza ad UmbriaOn.

EMERGENZA CORONAVIRUS – UMBRIAON

Il cancro non si ferma

«Qui a Milano è un bollettino di guerra, la situazione è davvero drammatica e bisogna ancora comprendere come ne usciremo» spiega Valentina al telefono, dopo un’altra lunga giornata di lavoro. L’Istituto nazionale dei tumori, chiarisce, non è tra gli ospedali che stanno lottando in prima linea contro il coronavirus, ma gli effetti dell’emergenza si avvertono inevitabilmente su un centro che è comunque chiamato a dare risposte rapide ed efficienti a malati per i quali una settimana o un mese di attesa possono fare la differenza. Malati che, soprattutto, devono essere messi in tutti i modi al riparo dai rischi di contrarre un virus, come il covid-19, che complicherebbe un quadro già compromesso. «In questo momento si parla ovviamente solo del coronavirus – spiega la dottoressa, che a Milano lavora nella struttura semplice tumori peritoneali diretta da Marcello Deraco -, ma le altre patologie, come quelle oncologiche, rimangono e devono comunque essere affrontate. Il nostro ospedale è completamente ‘isolato’, qui di covid-19 ovviamente non ne arrivano da altre strutture e se c’è il sospetto che qualche nostro paziente lo abbia contratto viene subito attivato un protocollo specifico e poi trasferito, in caso di positività, altrove. Se qui il virus si diffondesse sarebbe una tragedia».

La carenza di mascherine

Ma tutt’ora i pazienti oncologici, che magari hanno aspettato mesi prima della visita specialistica, continuano inevitabilmente ad arrivare da tutta Italia, con tutti i rischi e i pericoli del caso, per loro e per il personale sanitario. «Molti medici ed infermieri in questo momento sono in malattia – continua la specializzanda -, anche se il tampone non viene fatto a tutti, ma solo in presenza di particolari sintomi. C’era una carenza di personale già prima, figuriamoci ora. Manca il personale di sala operatoria, dunque l’attività chirurgica è stata ridotta notevolmente, ma per i casi più gravi non può assolutamente fermarsi e la lista d’attesa si allunga». Quanto ai dispositivi di protezione, sono forniti con il contagocce. «Abbiamo solo le mascherine chirurgiche, a breve dovrebbrero essere distribuite quelle con filtro Ffp2 e Ffp3 a chi svolge il triage dei pazienti. Ma i kit completi di protezione sono pochi e sono stati forniti solo di fronte a casi di sospetta positività sottoposti a tac».

La solitudine ‘alleviata’ dagli smartphone

Inevitabile che l’emergenza coronavirus apra drammatiche riflessioni anche dal punto di vista sociale e umano. «Vedere Milano vuota è impressionante – continua la specializzanda -, si avverte la percezione che la situazione stia peggiorando. In altri ospedali non accettano più pazienti perché non ci sono più posti. Ma anche qui all’Istituto tumori non si parla d’altro e poi c’è lo strazio di vedere queste persone ricoverate, già provate da gravi malattie, completamente sole. Nel rispetto dei protocolli, nessun visitatore può entrare nei reparti, fortuna che almeno ci sono gli smartphone, spesso tanto criticati, ma in questa fase l’unica risorsa per permettere ai pazienti di avere un contatto con l’esterno. Ed anche per me è l’unico modo per parlare con i parenti dei ricoverati dopo gli interventi». Per Valentina questa esperienza all’Istituto tumori è e sarà comunque una grande lezione di vita. «Teoricamente avrei dovuto concludere il mio periodo qui il 30 marzo, ma in questa situazione non so cosa succederà. Era un’esperienza che valeva la pena fare – conclude – e ne rimango convinta tutt’ora, nonostante le difficoltà».

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