Un presidio silenzioso ma ben visibile. Per testimoniare sì la vicinanza delle associazioni ai familiari di Raffaella Presta – l’avvocatessa 40enne di origini pugliesi uccisa il 25 novembre di un anno fa, con due fucilate, dal marito Francesco Rosi (43) nella villa familiare fra via Bellocchio e via Pievaiola – ma anche per chiedere giustizia a fronte di un processo ancora agli inizi e dall’esito, come ogni procedimento penale, tutt’altro che scontato.
PARLA SARA PASQUINO DI ‘LIBERA..MENTE DONNA’ – VIDEO

In tribunale Ad organizzarlo – lunedì mattina – sono state le associazioni ‘Libera…Mente donna’, il Centro pari opportunità della Regione Umbria e la Rete delle donne ‘AntiViolenza Onlus’, parti civili nel processo in corso di fronte al gup Alberto Avenoso. «La violenza di genere riguarda tutta la società e non solo le donne che subiscono situazioni pesanti e spesso, purtroppo, estreme – spiega Sara Pasquino di Libera…Mente Donna -. Anche in questo caso non siamo di fronte ad un raptus, ma ad un omicidio efferato e consapevole».
Violenza senza fine Dopo aver sparato i due colpi fatali alla moglie, con un fucile da caccia calibro 12, Francesco Rosi aveva chiamato i carabinieri, confessando alla fine ciò che aveva appena compiuto. In casa c’era anche il figlio della coppia, che oggi ha 7 anni. Un delitto spinto dalla gelosia e maturato in un contesto di violenza: numerosi erano stati gli episodi di maltrattamenti e percosse che lo avevano preceduto. E anche la lesione al timpano riscontrata dai medici legali all’atto dell’autopsia sulla salma della povera Raffaella, era stata ricondotta alle violenze subite per mano di Francesco Rosi.