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Home » I ‘duri’ del call center: «Ecco le nostre ragioni»

I ‘duri’ del call center: «Ecco le nostre ragioni»

di Fabio Toni
18 Aprile 2015
in Attualità, Economia, Imprese, Lavoro
Tempo di lettura: 2 minuti di lettura
I giorni dello sciopero

I giorni dello sciopero

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I ‘duri’ della protesta. Quelli che dopo lo sciopero al call center non sono più rientrati al lavoro. Perché dell’attuale dirigenza non vogliono più sentirne parlare e con i sindacati hanno rotto – «non ci fidiamo più», dicono – dopo la tribolata assemblea dello scorso 21 marzo al Garden.

CALL CENTER: TUTTA LA VICENDA

«Unica scelta» In totale sono circa settanta persone, la maggior parte di quelli che lavora(va)no nel call center ternano di via Bramante. Abbiamo incontrato alcuni di loro per capire meglio le ragioni alla base di scelte – quella di affrancarsi dai sindacati e voltare definitivamente le spalle all’azienda – che possono sembrare radicali: «Ma fidatevi – affermano – le abbiamo tentate tutte, con la massima onestà e rispetto. Purtroppo non c’erano altre strade per evitare di essere presi ancora in giro. Ma la nostra battaglia prosegue».

«Tornare? Inutile» «Possono continuare a dire che la colpa di questa situazione è tutta dei lavoratori che non rendono, che i responsabili di sala e i supervisor hanno tramato per far saltare la baracca – dicono -. Ma la realtà, a fronte di fatture già pagate dai committenti, è che la seconda metà degli stipendi di gennaio, insieme alle tredicesime del 2014 e i pochi euro dei conguagli, è stata saldata il 31 marzo. E che non ci sono certezze per gli stipendi di febbraio, tanto che la data del 30 aprile è a rischio. La situazione debitoria dell’azienda è stata riconosciuta apertamente anche dall’Inps nel tavolo in prefettura. Rientrare a lavorare equivale ad affidarsi ogni mese a un santo, nella speranza che ti paghino».

All’attacco Ai sindacati, i ‘duri’ dello sciopero mandano messaggi inequivocabili: «La loro priorità, al pari delle istituzioni, soprattutto in una fase come questa, è far sì che nessuno possa mai dire che un’azienda se n’è andata da Terni per colpa loro. Anche se tutto ciò significa far digerire ai lavoratori qualsiasi condizione. Dalle paghe ridotte all’osso, alle incertezze sugli stipendi e sulle stabilizzazioni previste dal Jobs Act. Ma a tutto c’è un limite e per noi era stato già ampiamente superato». E ora? «Noi siamo compatti e pronti a mettere in campo altre iniziative per tutelarci». Questione, a quanto pare, di tempo.

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