Anche l’Umbria ha la sua valle dei fuochi. Ne è certo, ormai, il deputato umbro di Forza Italia Pietro Laffranco che, nei mesi scorsi, aveva depositato un’interrogazione al ministero dell’Ambiente sulla vicenda dell’inquinamento in Valnestore. La risposta, direttamente dal ministro Galletti, è arrivata, ma secondo Laffranco «in questo rimpallo di responsabilità, colpe reciproche e scambi di accuse, tutto resta fermo, nessuno fa nulla. In barba al sacrosanto principio di tutela della salute dei cittadini».

Nell’interrogazione, datata marzo 2017, l’onorevole Laffranco chiedeva al ministro se non fosse stato il caso di attivare urgentemente una raccolta ed elaborazione dei dati relativi ai monitoraggi ambientali effettuati e quelli ancora in corso e se, il ministero della Salute, intendesse avviare la raccolta di dati epidemiologici relativi all’incidenza delle patologie oncologiche negli ultimi quindici anni nell’area della Valnestore, dove sono state interrate ceneri e scorie di carbone, assieme ai rifiuti urbani, provenienti dalle centrali termoelettriche di Vado Ligure, Savona e La Spezia, a partire dal 1985.
L’intera vicenda Una risposta articolata, quella del ministro all’Ambiente Galletti, che ricorda come, negli anni, si siano susseguite autorizzazioni, le più diverse, sia da parte della Regione, che da parte della Provincia, in base alla normativa vigente. Era stato infatti un decreto del presidente della giunta regionale, nel 1985, ad autorizzare il conferimento in discarica delle ceneri provenienti dalle centrali Enel. «Con riferimento alle procedure di bonifica del sito della ex centrale di Pietrafitta – scrive ancora il ministro – la Regione Umbria fa presente che lo stesso risulta inserito nella lista A5, siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale», mentre a partire dall’aprilie 2016 l’Arpa ha segnalato il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione per quanto riguarda l’arsenico in due pozzi a Tavernelle e a Pietrafitta, poi in altri 14 e, infine, in altri 16, così che a dicembre dello scorso anno la Regione ha inserito il sito nell’anagrafe regionale dei siti oggetti di procedimento di bonifica del piano regionale per le aree inquinate.

L’inchiesta Nel frattempo ci ha pensato la magistratura a sequestrare quelle aree mentre la Regione, in base alle segnalazioni dell’Arpa, ha invitato la Provincia a comunicare i risultati delle attività di monitoraggio, anche ai fini dell’attivazione delle procedure che consentono il potere sostitutivo del comune interessato alla contaminazione. In base agli esiti delle indagini finalizzate ad individuare eventuali soggetti responsabili della contaminazione «dovranno essere adottate – scrive il Ministro – le procedure amministrative» come previsto dal testo unico dell’ambiente per le operazioni di bonifica.

I tumori Sarà dunque la magistratura – ed è questa la speranza dei cittadini, delle famiglie dei troppi morti sospetti per malattie tumorali nella zona e degli ex dipendenti – a cercare di fare chiarezza su eventuali responsabilità, dopo che anche l’Asl, su invito del comune di Piegaro, ha prodotto una relazione in cui non si possono mettere in relazione i morti di tumore con l’attività della ex centrale. Dati, questi, che contrasterebbero con quelli raccolti dal legale Valter Biscotti. Per quanto di sua competenza, «il ministero dell’Ambiente continuerà a tenersi informato e a mantenere alto il livello di attenzione sulla questione, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali».
Valle dei fuochi Anche l’Umbria, secondo l’onorevole Laffranco, ha la sua Terra dei fuochi. «La risposta che abbiamo ricevuto dal ministero dell’Ambiente – dice – è praticamente carta straccia. Uno scarico enorme di responsabilità con il ministero che si limita a registrare i fatti rifacendosi a comunicazione della Regione Umbria. La Regione che chiama in causa la Provincia di Perugia, la Provincia che a sua volta tira in ballo l’Enel intimandogli di fare la bonifica. Enel che risponde a come se non vi fosse nell’area un sequestro disposto dall’autorità giudiziaria. In questo gioco al rimpiattino l’unico risultato è che nessuno fa nulla, tutti stanno a guardare impegnandosi solo in uno sterile esercizio di accuse e colpe reciproche. In barba al principio sacrosanto di tutela della salute dei cittadini che risiedono nella zona della Valnestore e al recupero ambientale di una zona che rischia di diventare uno dei peggiori esempi in inquinamento in Italia»