Roberto, il solitario che soffriva per Julia

La morte del padre, la gestione dell’albergo nel centro storico di Spello con la mamma e la sorella: chi è Ferracci, l’uomo che ha accoltellato i due giudici a Perugia

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di Pietro Cuccaro

Leggi ‘Spello’ e pensi solo al borgo da cartolina appollaiato sulla collina: il corpus domini, i fiori alle finestre, i ristorantini e quella luce particolare che lascia senza fiato al tramonto.

Spello al tramonto

Le immagini da cartolina C’è un punto, all’imbocco della superstrada, da cui il borgo si vede proprio bene e quando il sole sta calando viene accarezzato da una luce inconfondibile, che da secoli resta impressa nella mente e nel cuore di chi la osserva. Negli ultimi anni, da quando le fotocamere digitali hanno trasformato tutti in fotografi provetti, in quel punto c’è la fila di turisti, che si fermano lì per scattare l’immagine migliore del borgo, prima di tornare a casa.

Il brutto alle spalle Tutti guardano nella stessa direzione, verso la collina. Scattano la foto e poi se ne vanno. Basterebbe girarsi, verso la stazione, per vedere un’altra Spello. Sotto la statale, sotto le macchine che sfrecciano fra Perugia e Foligno, c’è un quartiere dove l’immagine che si presenta agli occhi è tutt’altro che oleografica: certi scorci sono familiari a chi gira nelle periferie delle città, non certo a chi visita la «splendidissima colonia Julia». Le case non sono quelle tradizionali del borgo e affacciandosi alla finestra non c’è il panorama umbro, ma i binari della ferrovia e i piloni della superstada, i cui sottopassi sono recintati per evitare diventino ricettacolo di rifiuti. Lì, in quel quartiere, precisamente in via del Ponte, viveva fino a ieri Roberto Ferracci.

Via del Ponte, Spello

La casa di Ferracci Una casetta su due piani, color giallo ocra, che il giorno dopo il fattaccio si mostra con le tapparelle abbassate e le luci spente. Non un rumore, ma non è una novità. I Ferracci non si facevano sentire: «Erano riservati – dicono i vicini – mai un litigio, mai un problema, né fra loro né con i vicini». Ma il concetto viene ripetuto diverse volte, da tutti, come una litania, tanto che da pregio si trasforma quasi in difetto: «Non parlavano mai, a stento salutavano, con un cenno della testa, eppure sono qui da tanti anni». Dal cortile spuntano fuori due gattini, seguono la madre in cerca di cibo. Nessuno li ha nutriti nelle ultime ore.

È ENTRATO IN TRIBUNALE CON DUE COLTELLI – LA CRONACA

La casa in via del Ponte

L’accoltellamento Da questa casa, lunedì mattina, Roberto è partito verso Perugia con addosso due coltelli da 20-25 centimetri. È arrivato in piazza Matteotti, è entrato indisturbato nel palazzo delle Poste, dove ha sede il tribunale civile, è salito fino al secondo piano, ha girato prima a destra e poi subito a sinistra ed è arrivato nel corridoio: la prima porta è quella del giudice Francesca Altrui. Ha bussato, è entrato, probabilmente ha chiuso a chiave la porta dietro di sé (hanno dovuto sfondarla per entrare) e si è avventato contro la donna, colpendola alle spalle e alle gambe, mentre lei provava a difendersi con lo schermo del computer. Quello che è successo dopo è ormai noto: l’arrivo del giudice Rana e dell’impiegato, la fuga, l’arresto, il primo interrogatorio, il carcere.

I COMMENTI E LE POLEMICHE DOPO L’ACCOLTELLAMENTO

Il prima e il dopo Meno noto è quello che è successo prima, negli ultimi 20-25 anni, per capire come si è arrivati a oggi. Come sia stato possibile che una famiglia – padre, madre e due figli, maschio e femmina – titolare di un albergo ben avviato, nel centro storico di uno dei borghi più visitati al mondo, si sia ritrovata a piangere prima per la perdita dell’albergo e poi per il gesto sconsiderato di Roberto, che ora si trova in carcere, accusato di tentato omicidio.

L’albergo al centro di Spello

I commenti leggendo i giornali Nei bar di Spello non si parla d’altro, qualcuno si spinge nei commenti, ma in pochi conoscono i dettagli della vicenda. Raro incontrare qualcuno che avesse familiarità con Roberto Ferracci e la sua famiglia. Lo incrociavano nelle sue passeggiate, «ma da quando si era rasato i capelli nemmeno lo riconoscevo». La parola più ricorrente, parlando di lui, è «riservato». E anche qui, come nella stradina dove viveva, la sensazione è che l’aggettivo – analizzando il tono di voce e l’espressione di chi lo pronuncia – non sia proprio inteso in senso positivo. Roberto era un tipo timido, schivo, certo, che però i fatti della vita avevano reso ancor più solitario, ai limiti dell’asociale.

Il peso dell’albergo Il padre morto per un attacco cardiaco ormai tanti anni fa. Il peso dell’albergo «Julia» – 24 camere, in via Sant’Angelo – che ricade tutto sulle loro spalle: quelle della mamma e dei due figli, forse non ancora pronti per assumersi la responsabilità della gestione di una struttura simile, seppure ben avviata. Qualche scelta sbagliata, un finanziamento forse troppo rischioso, magari una gestione non impeccabile, infine il terremoto. Si chiude. Con dolore. E per sopravvivere rimane solo la pensione della mamma.

Scritte sulle finestre

Il crollo E sulle spalle i conti dell’albergo. Che ora si presenta con tutto il peso di due decenni di crisi. Le porte sono sprangate. Le inferriate alle finestre non hanno impedito a qualcuno di augurare Buon Natale, chissà quanti inverni fa. Del nastro adesivo pesante tiene chiusa la porta, dove è stata affissa un’immagine di Padre Pio. L’avviso – con inchiostro nero – è impietoso: «Non oltrepassare, pericolo di crollo». Il crollo c’è stato. Non della struttura, ma quello mentale. E ha portato al ferimento – per fortuna non mortale – di due giudici del tribunale civile di Perugia, in un tranquillo lunedì mattina di settembre. A 20 anni dal terremoto.

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