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Home » Acque Minerali d’Italia, impasse Sangemini

Acque Minerali d’Italia, impasse Sangemini

di Simone Francioli
20 Novembre 2018
in Altre notizie, Economia, Imprese, Lavoro
Tempo di lettura: 5 minuti di lettura
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di S.F.

«Nella vita non conta ciò che dici, ma ciò che fai». Messaggio per il gruppo – Massimo e Carlo – Pessina, a capo di Acque Minerali d’Italia dopo il processo di fusione tra fine 2017 e inizio 2018 di Norda S.p.A., Sangemini Acque S.p.A. e Monticchio Gaudianello S.p.A., perché? Semplice, ci sono parole e accordi datati 2014 che continuano a scricchiolare e non poco per la Sangemini e Amerino (Acquasparta). Nonostante i sindacati in passato si siano già fatti sentire e ora c’è l’invito: «Incontro urgente per discutere del piano di sviluppo e la salvaguardia dei posti di lavoro. Non è più rinviabile. E se l’azienda è un nemico che venga allo scoperto perché non è nostra intenzione navigare a vista»: a tuonare contro la proprietà sono Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil di Terni, con sintesi finale di Gianluca Girasole della rsu Uil Uila. Di fatto – come ammesso dalle stesse organizzazioni sindacali – nell’ultimo anno e mezzo non c’è stato alcun passo in avanti rispetto alle già note problematiche.

OTTOBRE 2017: L’INCERTEZZA REGNA SOVRANA

I problemi e le difficoltà Produzione al ribasso, investimenti mancati, mancanza di chiarezza, preoccupazione dei lavoratori per fornitori – e non solo – non pagati, un nuovo direttore del personale che fa pensare e soprattutto una definizione del piano di sviluppo che latita. Alcuni temi che i sindacati hanno voluto trattare per ricordare che, al di là delle parole e degli obiettivi sbandierati, c’è molto che non quadra: «Vogliamo – ha sottolineato Paolo Sciaboletta della Flai Cgil – un incontro urgente qui in Sangemini, urgente, per discutere su un piano di sviluppo per i due siti. Necessari per lo sviluppo dei marchi che vengono prodotti qui nel territorio e ovviamente per un aumento di vendite: il tutto, in special modo, per la salvaguardia dello stato occupazionale attuale. L’accordo del 2014 è tuttora in vigore e prevedeva un canone agevolato dalla Regione fino al 2024 a fronte dell’impegno su investimenti su rilancio, macchinari e innovazione. I 250 milioni di pezzi di bottiglie all’anno per poter mantenere gli addetti presenti? Niente da fare, siamo arrivati a circa 170. Ad inizio 2018 è stato creato un unico soggetto giuridico, l’Ami (Acque minerali d’Italia S.p.A.) e hanno detto che in questo modo sarebbero diventati il 3° gruppo italiano del settore: a distanza di sette mesi invece riscontriamo delle difficoltà su produzione e degli investimenti non c’è traccia. Il piano di sviluppo non è più rinviabile e inoltre chiediamo un direttore di stabilimento da oltre un anno, l’ultimo è stato Patrizio Dessi; siamo stati invece convocati per la presentazione del nuovo direttore del personale, l’ex Ast Arturo Ferrucci». Ed è una nomina che mette sullo stato d’allerta. Il concetto è stato ribadito più volte nel corso della conferenza. 

LE PROMESSE MANCATE E I SINDACATI

Simone Dezi

«Ok la pubblicità, poi?». Nodo produzione Simone Dezi della Fai Cisl ha invece evidenziato come «ci sia un po’ di preoccupazione da parte dei lavoratori, tutti auspichiamo che ci sia un piano di rilancio. Dovrà essere presentato a settembre. Ricordo il passaggio delicato del 2014 quando c’era una situazione fallimentare e arrivò la famiglia Pessina con il gruppo Norda: sì, alcuni investimenti a livello pubblicitario sono stati fatti, ma serve un piano di sviluppo con obiettivi mirati per diversificare la produzione. Abbiamo richiesto una linea vetro dedicata alla ristorazione e ad alcuni prodotti del beverage. Ne va del futuro della Sangemini, dei marchi e dei lavoratori: la base dell’accordo di quattro anni fa era proprio la salvaguardia dei livelli occupazionali. Serve inoltre una direzione commerciale per i siti in questione, il nostro mercato è quello del centro Italia e deve essere sviluppato. Il discorso è che non ci possiamo permettere sacrifici e occorre poter aumentare le ore lavorabili grazie a investimenti mirati. L’azienda – il ‘consiglio’ – deve attingere dalla chance dovuta all’Area di crisi complessa, è un’opportunità». Accenno ai movimenti dentro ad Ami: «All’interno del gruppo c’è molta rivoluzione al momento».

PARLANO I SINDACATI, IL VIDEO

Daniele Marcaccioli

Business, discussione e qualità C’è anche Daniele Marcaccioli, da poco segretario regionale della Uil Uila: «L’Italia è uno dei paesi più importante per fonti d’acqua censite e in Umbria ce ne sono molte, creano business. Non capiamo perché in due stabilimenti così importanti non si riesca a svilupparlo – le sue parole – in maniera importante come avviene in altre reatà: Ami si è impegnato a creare questo gruppo a livello nazionale, con dislocazioni di aziende in tutta Italia. Qui c’è un valore aggiunto perché abbiamo delle acque rilevanti: non sono ‘piatte’ perché hanno un valore aggiunto per il residuo fisso. C’è un marchio premium come Sangemini che non esiste a livello nazionale: se l’azienda con serietà scenderà al tavolo per una discussione seria sul piano di sviluppo, crediamo ci siano potenzialità per tornare agli antichi fasti. Chiediamo inoltre che venga presentato il nuovo direttore di distabilimento perché serve anche questa figura per delinerare le strategie future». I lavoratori – erano 96 – risultano essere 92 al momento: «C’è stata qualche uscita», ha chiarito al termine della conferenza Riccardo Liti (rsu Cgil).

Paolo Sciaboletta

Silenzio assordante: «Azienda nemica? Lo dica» Marcaccioli poi alza un attimo i toni nel chiudere il discorso: « Abbiamo avviato un percorso con gli assessori regionali – ha proseguito – Fabio Paparelli e Fernanda Cecchini, oltre al senatore e sindaco di San Gemini Leonardo Grimani. Ci sono stati incontri tra giugno e luglio: abbiamo chiesto un passaggio con la famiglia Pessina perché gli obiettivi sbandierati nel 2014 sono lontani. Il piano di sviluppo metterebbe in sicurezza anche i lavoratori, ci opponiamo fermamente a qualsiasi altra soluzione: hanno l’obbligo di salvaguardarli, questo deve fare un imprenditore. A ‘tagliare’ sono capaci tutti, è la cosa più semplice. C’è un fronte comunque per, quantomeno, far restare inalterato il livello attuale occupazionale. Ma al momento registriamo un silenzio assordante. Se l’azienda è un nemico che venga allo scoperto perché non è nostra intenzione navigare a vista. Ricordo che loro sfruttano un bene pubblico per fare business, chiamare all’appello i Pessina è importante: lo farà la Regione prima delle ferie estive, ci proveranno. Diventa indispensabile avere notizie chiare subito. Settembre? Il tempo è giudice, se nei loro piani hanno intenzioni diverse bisogna tirargliele fuori. Speriamo di no, altrimenti prima o poi potrebbero presentarci il ‘conto’. Cosa impedisce di fare una rete vendita per il centro Italia? Occorre sviluppare, sviluppare e sviluppare».

Gianluca Girasole

La ‘paura’ Ferrucci e la chiusura di Pessina A parlare della questione e delle non novità positive per Sangemini e Amerino – oltre ai già citati Girasole e Liti – anche Marcello Rellini (rsu Cisl): «Pessina – ha attaccato il primo – ha sempre garantito sul futuro e lo sviluppo del sito, ma il piano di investimento non è stato rispettato. Ora non risponde a nessuno e i fornitori non vengono pagati: questa cosa mette un po’ di paura ai lavoratori e dipendenti, noi abbiamo già fatto i conti con un passato difficile. Inoltre sembra che in questo gruppo non debbano durare per le persone competenti: sono andati via Cattaneo, uomo di fiducia della famiglia Pessina, Porcelli (ex direttore marketing) e Foschi (ex direttore industriale). C’è Ferrucci adesso, conosciuto come un ‘tagliatore di teste’. Concludo dicendo che nella vita conta ciò che fai, non ciò che dici». Palla – sempre che si facciano vivi – ai Pessina.

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