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«Erano appena decollati, come me, e sono dell’idea, per ciò che ho letto e sentito, che l’incidente sia dovuto ad un possibile guasto tecnico del motore. In quei casi, a quella quota così bassa, c’è davvero poco da fare: provare a mantenere i nervi saldi, dare fondo alle proprie conoscenze, evitare impatti e tentare un atterraggio il meno traumatico possibile. Io ci sono riuscito, e sono finito anche a processo, loro purtroppo no ed è sempre un grande dolore».

A parlare è Gianfranco Requedaz, 56 anni, che il 28 ottobre del 2017, ai comandi di un aeromobile Tecnam P92 noleggiato e insieme ad un amico, è precipitato sulla linea ferroviaria dell’alta velocità Roma-Firenze, accanto alla Salaria, poco dopo il decollo dall’aeroporto di Roma Urbe. Da lì avrebbe dovuto raggiungere l’aviosuperficie ‘Leonardi’ di Terni. «Quando ho capito che c’era un guasto grave, le vibrazioni fra l’altro erano fortissime e c’era odore di benzina nell’abitacolo, ho tentato di tornare sulla pista. Appena ho capito che mi sarei scontrato frontalmente con il muro di fine pista, ho impattato con la ‘pancia’ dell’aeromobile contro un albero per ridurre l’andatura e, nel rimbalzare, siamo finiti sulla linea dell’alta velocità».
Requedaz e l’amico sono rimasti feriti in maniera seria, ma si sono salvati. I servizi pubblici hanno pesantemente, e logicamente, risentito del fatto. E da quella vicenda è nato un processo penale con il pilota – difeso dagli avvocati Guido Simonetti e Simone Zancani di Venezia – imputato per ‘disastro aviatorio’. «Dall’indagine alla mia assoluzione, con formula piena, sono passati cinque anni. Mi hanno rovinato la vita ma ora, chi al tempo ha deposto dichiarando e mettendo nero su bianco cose false, deve risponderne». In corso, infatti, c’è un altro processo che vede Gianfranco Requedaz parte civile e diversi soggetti sul banco degli imputati. «Alla fine la situazione piú brutta non sono stati quei due minuti di volo con il motore in avaria e l’impatto con la pianta, ma i cinque anni sotto processo e aver perso ‘amici’ ai quali avevo dato la mia massima fiducia e stima».
«La manutenzione dei velivoli è fondamentale – osserva il pilota -. Gli aeromobili come quello coinvolto nell’incidente di Terni, appartengono all’aviazione generale e, a differenza degli ultraleggeri, devono seguire rigidi protocolli di manutenzione, scadenzati e in cui ogni componente del motore è numerata». Circa il tragico schianto di Maratta, per Requedaz «la prima ipotesi è il probabile guasto tecnico, perché l’aereo è caduto subito dopo il decollo. Altre ipotesi, come la temperatura elevata che comporta una corsa di decollo più ampia, la chiusura dei serbatoi, le considero residuali e altamente improbabili. Con gli aerei si può atterrare anche senza motore, ma a quote così basse servono anche fortuna e una bravura fuori dal comune».
Sul fronte delle indagini, intanto, il sostituto procuratore titolare del fascicolo, Raffaele Pesiri, nella giornata di lunedì 26 agosto – ore 16.30 nella sede di palazzo Gazzoli, a Terni – affiderà formalmente l’incarico al medico legale individuato dall’autorità giudiziaria per effettuare le autopsie sulle salme delle due vittime del tragico incidente di Terni, gli abruzzesi Massimo Sciannimanico (58 anni, il pilota dell’aeromobile) e Claudio Di Giacomo (63).