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Home » Amelia, quella finta denuncia per infamare i familiari di Barbara

Amelia, quella finta denuncia per infamare i familiari di Barbara

di Fabio Toni
9 Aprile 2021
in Dal territorio
Tempo di lettura: 2 minuti di lettura
Barbara Corvi

Barbara Corvi

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Nell’estate 2020 Roberto Lo Giudice, attraverso la notifica a rendere interrogatorio e l’avviso di proroga delle indagini preliminari da parte della procura di Terni, ha capito che gli inquirenti stavano lavorando ancora – e con rinnovata determinazione – sulla morte della moglie Barbara Corvi. Ma Roberto Lo Giudice, arrestato lo scorso 30 marzo dai carabinieri di Terni con l’accusa di aver ucciso la donna, era convinto che dietro quell’indagine, riaperta, ci fossero i familiari della 35enne di Montecampano e la loro ferma volontà di non arrendersi di fronte al tempo trascorso ed all’archiviazione datata 2015.

La denuncia ritrattata

Per questo, secondo i magistrati che ne hanno chiesto ed ottenuto l’arresto – in testa il procuratore di Terni, Alberto Liguori -, proprio nell’estate del 2020 Roberto Lo Giudice aveva messo in atto un piano per apparire di nuovo come ‘vittima’ di una macchinazione. Atteggiamento che già in passato, evidentemente, gli aveva portato qualche beneficio. Così, secondo la procura di Terni, aveva contattato il figliastro Giulio Greve (figlio della compagna Caterina e dell’ex marito della donna, Federico Greve) – che già aveva dato prova di subire la figura del patrigno – convincendolo ad autoaccusarsi di aver tentato di avvelenarlo, su ordine dei familiari di Barbara Corvi, con l’obiettivo di minare la credibilità di quest’ultimi. Una denuncia effettivamente sporta dal giovane, presso la questura di Padova nel novembre del 2020, ma poi ritrattata in quanto riferita a fatti completamente falsi, e quindi archiviata. Il fatto è che, secondo gli inquirenti, Giulio Greve avrebbe eseguito il compito dietro pressioni – poi mutate in un vero e proprio ordine – di un patrigno evidentemente preoccupato per il lavoro condotto dalla procura di Terni.

Il pericolo di ‘pressioni’

Sul punto, il gip Simona Tordelli, nell’ordinanza di custodia cautelare con cui ha disposto l’arresto di Roberto Lo Giudice, osserva che «solo una mente dotata di una astuzia e di una inusuale capacità criminale sarebbe in grado di architettare un piano di tal genere, pur di tentare di precostituirsi, ancora una volta, elementi di prova per uscire indenne dalle accuse di avere ucciso la propria moglie. Nulla pertanto potrebbe ora impedirgli di contattare, anche tramite terze persone, i collaboratori di giustizia che hanno reso dichiarazioni accusatorie a suo carico, al fine di indurli a ritrattare. Pericolo del tutto concreto sia per Antonino Lo Giudice, suo fratello, sia per Federico Greve, quest’ultimo attraverso l’intermediazione di Giulio, come già visto facilmente plasmabile dal potere persuasivo esercitato esercitato su di lui dal Lo Giudice». Da qui uno degli ulteriori motivi per l’applicazione della custodia cautelare in carcere.

Quella frase (riferita) agghiacciante

Proprio la deposizione di Federico Greve – datata 21 gennaio 2021 – è un altro dei passaggi chiave dell’indagine: l’ex marito della compagna di Roberto Lo Giudice, collaboratore di giustizia, ha infatti riferito che in Umbria, dove era giunto per incontrare il figlio Giulio, il Lo Giudice si era lamentato del comportamento del ragazzo, senza mezzi termini e con un riferimento agghiacciante: ‘Murerò tuo figlio se continua così come ho murato mia moglie’. Dal giovane, nessuna conferma di incontri o frasi simili, ma solo quella relativa ai rapporti affatto sereni con il Lo Giudice, contro il quale aveva anche sporto denuncia nel 2018 per maltrattamenti.

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