Capati: «Terni rinasca dopo i fallimenti. Con sogni fatti di identità»

Il direttore del museo ‘Hydra’ dice la sua sul futuro del territorio. «Bisogna trasformare la nostra crisi in punto di forza»

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di Alessandro Capati
Direttore museo ‘Hydra’

Lunedì 17 aprile, contemporaneamente al primo incontro tra tutti i candidati sindaco alle prossime elezioni amministrative ternane, si è svolta un’interessante conferenza all’istituto Leonino, organizzata nell’ambito del programma Erasmus+ ‘Educarte’, ispirata dai sempre attivi concittadini Rosella Mastodonti e Sandro Pascarelli. L’incontro aveva il nobile scopo di tracciare un’identità della città di Terni all’interno del panorama europeo.

Alessandro Capati

L’intervento dell’architetto Miro Virili, come sempre altamente qualificato ed approfondito, ha voluto tracciare una tesi interpretativa secondo la quale Terni è sempre stata una realtà progettata: discendente dalla cultura dei Nahars, la città venne realizzata prima di tutto dai Romani, che disegnarono la classica città di fondazione basata sull’allestimento del castrum e sui due assi principali cardo e decumano (arrivati fino ai giorni nostri); poi fu il tempo dello stato pontificio che ne ha adeguato le funzionalità ai tempi; col Risorgimento il nuovo Stato volle realizzare una vera e propria new town, destinata alla produzione industriale pesante della nazione, per la posizione centrale e la vasta presenza di acqua; infine, la città ricostruita in seguito ai disastri della guerra, il disegno di Mario Ridolfi ed il piano Lattes-Staderini, per nuovi sviluppi futuri.

A questo intervento ha fatto da contraltare quello dell’architetta Manuela Gualtieri, autrice di un lavoro innovativo di analisi partecipata condotto insieme alla Casa delle Donne di Terni, che ha cercato di delineare i tratti della città attraverso la sensibilità di un campione di donne concittadine. Il lavoro tecnico di analisi in questo caso cercava volutamente una valutazione ‘di parte’, che è risultata molto interessante; è stato utile, però, anche per sottolineare il ruolo sociale e progettuale della realtà percepita della città, che nel caso di Terni e al giorno d’oggi, risulta essere spesso demoralizzante, costellata di esempi di decadenza e impoverimento, di mancanza di prospettive, con una storia che non ci appartiene più e sempre più spesso disconosciamo, con grossi problemi da risolvere apparentemente senza soluzione come l’inquinamento, che sfocia in atteggiamenti sempre più spesso di rabbia o, più che altro, di resa e di abbandono.

Dall’immagine della fabbrica alla fabbrica dell’immagine: lo slogan individuato per un progetto di cambiamento della città dall’amministrazione Porrazzini negli anni ‘80, raccontato dall’esperienza in prima persona dalla professoressa Stefania Parisi, era sicuramente un claim ben riuscito. Doveva segnare il passaggio dalla fabbrica totale o città-fabbrica, un’esperienza con pochi eguali nel panorama europeo ma che si andava inesorabilmente estinguendo, alla trasformazione in centro di produzione cinematografico e multimediale. Una narrazione forte, impegnativa, ma calata dall’alto, che non ha coinvolto più di tanto la cittadinanza. Certo, l’Oscar di Benigni è stato un grande climax per la città, un momento di partecipazione cittadina, un’occasione di riscatto: credo che non ci sia ternano che non abbia raccontato almeno una volta ad un forestiero questo fatto, con vanto ed orgoglio, chiaramente. Eppure tutti sappiamo com’è finita l’avventura, e la sconfitta di quella narrazione, dovuta anche alla mancanza di legami con la nostra storia ed il nostro contesto, è diventata un motivo di frustrazione e umiliazione per la città tutta (e solo chi ha visto con i propri occhi lo stato di abbandono ed incuria di quei luoghi può capire).

Nel libro ‘Sapiens: da animali a dèi’ di Yuval Noah Harari, bellissima storia dell’umanità affrontata con spirito originale, si sostiene che il principale motivo per cui l’Homo Sapiens si è imposto su altre razze, come quella di Neanderthal, e si è distinto segnando un solco gigante da tutti gli altri animali, è il fatto che è stato in grado di creare delle realtà immaginate, prodotti del nostro intelletto che hanno caratterizzato ed impostato le nostre comunità e la nostra evoluzione. Prime fra queste ci sono le religioni, le narrazioni più imponenti, che ancora distinguono popoli ed etnie tra loro, ma lo sono anche, per esempio, le società come personalità giuridica, il denaro, le nazioni, le costituzioni, i codici, i diritti, etc.

«Qualsiasi cooperazione umana su vasta scala (…) è radicata in miti comuni che esistono solo nell’immaginazione collettiva». E allora viene da pensare che a Terni manchi proprio una realtà immaginata, qualcosa in cui credere, degli obiettivi che rispecchino la nostra storia e la nostra natura, ma che riescano a costruire un’ipotesi di futuro, illuminata, che provenga da chi ha un ruolo di responsabilità e una capacità di visione, ma sentita ed accolta anche dalla cittadinanza.

Nel dopoguerra questa città ha dovuto affrontare una ricostruzione dalle macerie: 108 bombardamenti, mezza città rasa al suolo, infrastrutture distrutte. La città è stata ripensata, è stata affidata alle sue menti migliori, e alla ricostruzione fisica sono seguiti anni di prosperità e di crescita. Poi è arrivata la fine di un ciclo industriale produttivo, una fase degenerativa, la crisi. Abbiamo provato ad immaginarci, a ripensarci, ma non è andata bene: la ricostruzione, quella identitaria e di prospettiva, ha fallito. Dobbiamo inventarne una nuova.

Dobbiamo ancora ricostruire: la percezione di noi stessi, la nostra immagine verso l’esterno, la nostra narrazione. Abbiamo bisogno di una nuova realtà immaginata, che sia contemporaneamente una realtà progettata ed una realtà percepita. Il nostro modello di società e di economia è entrato in crisi, prima e peggio di altri; siamo in una ‘crisi complessa’ e sentiamo il complesso della crisi. Come nel campo del business, ma anche in quello della crescita personale, viene considerato fondamentale il passaggio del fallimento per poter arrivare ad una storia di successo, così bisogna trasformare la nostra crisi in un punto di forza, in una voglia (ed un’esigenza) di reinventarsi. Dobbiamo riscoprire il nostro passato, ispirandoci ad esso, e scrivere una nuova storia di riscatto. E la nostra storia nasce intorno all’acqua: già nel nome, Interamna Nahars, e nel nostro simbolo araldico, il drago, c’è il richiamo all’acqua. Quindi la nostra natura è determinata da un profondo rapporto col nostro ambiente naturale, rapporto rappresentato dalla lotta col drago, imbrigliato dal lavoro dell’uomo e addomesticato dal suo ingegno.

Per raccontare tutto questo, abbiamo voluto creare il Museo Hydra, uno spazio espositivo che fosse anche un’esperienza, partendo solo dalla storia straordinaria che avevamo, la nostra: ed è stato un successo. Lo slancio innovativo del museo e le importanti relazioni istituzionali che si stanno creando intorno al Forum delle Acque di Villalago, possono essere utilizzate come volano per un rilancio della nostra Cascata e della nostra storia, realizzando in questi luoghi un centro per l’educazione e la formazione ambientale di riferimento nazionale. La Fondazione, che si vorrebbe far nascere da questa esperienza e che dovrebbe unire pubblico e privato per obiettivi collettivi, avrebbe tra i primi obiettivi quello di realizzare un Contratto di Fiume intorno al Nera, quindi implementare la capacità di pianificare e progettare la tutela ambientale partendo dalle nostre acque, ed un Ecomuseo per valorizzare il nostro contesto culturale ed il nostro policentrismo, e quindi anche la percezione di noi stessi.

In questa valorizzazione un ruolo importante è dato alla tecnologia e alla multimedialità, alla realtà estesa, al digitale: una nuova fabbrica di immagini è già sul campo, specializzata nell’esaltare aspetti culturali e naturalistici. Magari non sarà quella del cinema hollywoodiano ma può essere una nicchia con grandi sviluppi e sicuramente più vicina alle nostre possibilità. Due giovani ed interessantissime realtà del nostro territorio, l’incubatore MICH ed il Festival TIC appena concluso, vanno già in questa direzione.

In questa visione si rivaluta un territorio policentrico, come siamo sempre stati, almeno fino all’espansione industriale di Terni, che ha i propri riferimenti nei propri castelli, nelle proprie torri, nelle proprie montagne, nelle proprie tradizioni. Secondo quanto raccontano alcuni studiosi, in questi luoghi si celebravano le antiche spiritualità nel solstizio d’estate, con dei fuochi che partivano dalla montagna più alta, sull’Ara Major, e da lì si accendevano su tutte le sommità intorno, facendo diventare la conca ternana il riflesso di un cielo estivo stellato, dando inizio così alla festa.

Sembra che verrà presto realizzato presto un collegamento pedonale-ciclabile tra Terni e la Cascata, che sarebbe anche l’ultimo collegamento di un unico percorso che unisce l’Umbria sud da Ferentillo a San Liberato, parallelo al fiume Nera: potrebbe diventare l’asse principale di scoperta per fare esperienza del nostro straordinario territorio, soprattutto in chiave turistica. Un cambio di paradigma: dall’immagine di una città inquinata e paralizzata dalla propria condizione, come una condanna del cielo, al riscatto attraverso un vasto progetto di bonifica e di rigenerazione naturale, che attiri il meglio nel campo della ricerca sulla riqualificazione ambientale (come è stato nella Ruhr per la Germania nei primi anni 2000).

Così come potremmo passare da essere il sito della Fabbrica d’Armi nazionale ad assumere un ruolo centrale nella cultura della Pace, grazie anche allo spirito francescano che permea tutti nostri luoghi di culto più importanti, e diventare un esempio riuscito di multiculturalismo, come l’importante esperienza del Festival Popoli e Religioni ci insegna. Terni è sempre stato un territorio fertile per la sperimentazione e l’innovazione, in tutti i campi: dovremmo solo riappropriarci della nostra storia, scrollarci di dosso le pesantezze dei fallimenti, unirci in obiettivi sentiti da tutti, riscoprire la comunità a cui apparteniamo e aprirci al mondo che cambia. Se è necessario costruire una nuova identità per la nostra città, abbiamo bisogno anche di visioni, di realtà immaginate in cui credere, che nascano dal nostro genius loci e formino il nostro futuro.

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