Umbria senza soldi, famiglie senza aiuti

Il rapporto della Banca d’Italia sull’economia post coronavirus cristallizza ciò che già si percepiva. Focus sullo scarso aiuto di banche e istituzioni all’economia reale

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Il rapporto della Banca d’Italia sull’economia umbra conferma, dati e grafici alla mano, cose che già si sapevano. Ad esempio che la crisi covid è arrivata a castigare una regione già in difficoltà di suo, ancora alle prese con l’appendice della crisi del 2008, arrivata in ritardo in Umbria e ancora presente nei suoi effetti. Oppure che le banche in periodo di crisi fanno esattamente il contrario di ciò che ci si aspetterebbe da loro: prestano soldi a chi li ha già anziché a chi ne ha bisogno. Insomma, tutto come previsto e prevedibile.

RAPPORTO BANCA D’ITALIA SU ECONOMIE REGIONALI

Il ritardo dell’Umbria

Sul ‘cuore verde’ gravano carenze strutturali, riconducibili alla bassa produttività dei fattori, che hanno fatto da effetto moltiplicatore – in negativo – sulle conseguenze negative della crisi. La pandemia di Covid-19 ha colpito l’economia dell’Umbria in una fase di ripresa ancora debole e ciò ha reso tutto più difficile, con conseguenze negative soprattutto sui servizi turistici, della ristorazione e del commercio al dettaglio non alimentare. Conseguenze sensibili anche nel settore dell’industria, dell’edilizia e del mercato immobiliare.

Il recupero sarà lento

Nel secondo semestre – scrive la Banca d’Italia – è atteso un recupero molto parziale dell’attività economica e di conseguenza del mercato del lavoro: con un crollo nel numero delle assunzioni e un parallelo aumento di disoccupati e ‘drop-out’, persone talmente scoraggiate che il lavoro nemmeno lo cercano più. In questo contesto di crisi reale e percepita i consumi non decollano sia per reale assenza di liquidità sia per scarsa sicurezza sul futuro: non sapendo come sarà il domani non ci si lancia in acquisti che potrebbero non essere sostenibili.

Il (mancato) aiuto delle banche

La qualità del credito, dopo il forte miglioramento degli ultimi anni, potrebbe risentire pesantemente dello shock economico, scriva la Banca d’Italia. E in parte già ne ha risentito, se è vero – come è vero – che si è assottigliata sensibilmente la parte di prestiti che gli istituti di credito erogano a imprese in difficoltà: i prestiti ‘a rischio’, anziché aumentare (come sarebbe stato logico e auspicabile) diminuiscono. Ergo: anche le banche evitano di far circolare moneta non sapendo come sarà il domani. Un comportamento logico per un padre di famiglia, meno logico per un istituto che – per definizione – è ‘di credito’.

Le istituzioni

L’emergenza ha aumentato le esigenze di spesa degli enti territoriali e ne ha ridotto le entrate, interrompendo la debole ripresa degli investimenti. Una parte rilevante dei fondi comunitari, il cui grado di utilizzo è tra i più bassi nel Paese, è stata destinata al sostegno del sistema economico. Presto si esaurirà anche la capacità degli enti locali di intervenire nel ciclo economico. E allora saranno guai.

L’ECONOMIA DELL’UMBRIA DOPO LA PANDEMIA

IL RAPPORTO COMPLETO

La situazione alla vigilia della pandemia

La pandemia di Covid-19 ha colpito l’economia dell’Umbria in una fase di ripresa ancora debole. Nel 2019 il PIL era aumentato dello 0,5 per cento, secondo i dati di Prometeia. Nell’industria erano tornati a flettere il valore aggiunto (-0,7 per cento) e il fatturato (-2,0). Le esportazioni (-1,3 per cento in termini reali) avevano interrotto una lunga fase di espansione, per il forte calo delle vendite nei settori dei metalli e dei mezzi di trasporto. L’indebolimento della congiuntura e la diffusa incertezza avevano negativamente condizionato l’accumulazione di capitale, frenando i nuovi investimenti (-13,2 per cento). Nell’edilizia e nell’agricoltura era proseguito il parziale recupero dell’attività iniziato l’anno precedente (+2,8 e +4,2 per cento, rispettivamente), mentre nei servizi la crescita aveva rallentato (+0,6 per cento). La redditività e la liquidità si erano mantenute su livelli ancora elevati, contenendo la domanda di credito delle imprese. Dopo due anni di stabilità, l’occupazione era cresciuta in maniera robusta (+2,2 per cento). L’incremento aveva riguardato soprattutto il lavoro dipendente a tempo indeterminato, favorito dalle trasformazioni dei rapporti a termine. Le famiglie consideravano ancora soddisfacente la propria situazione economica. I consumi si erano tuttavia indeboliti per la frenata degli acquisti di beni durevoli. I prestiti bancari all’economia regionale avevano ripreso a diminuire (-1,5 per cento), per il più intenso calo di quelli alle imprese di maggiori dimensioni (-3,6). La qualità del credito era ulteriormente migliorata; il tasso di deterioramento era sceso all’1,3 per cento, riallineandosi ai valori medi nazionali.

Il quadro macroeconomico recente

A partire dall’ultima settimana di marzo l’attività economica regionale ha subito pesanti ripercussioni per via delle misure di sospensione nei settori non essenziali: la quota di valore aggiunto delle attività sospese in Umbria è pari a quasi il 28 per cento del totale, in linea con la media italiana. Tale quota si è ridotta all’otto per cento circa in seguito alle riaperture di inizio maggio. Gli operatori si attendono che il recupero dell’attività nella seconda parte dell’anno sarà molto parziale. Le stime più recenti dell’Agenzia Umbria Ricerche indicano per il 2020 un calo del PIL di intensità lievemente inferiore rispetto agli scenari previsivi per il Paese.

Le imprese

La domanda interna ed estera rivolta alle imprese umbre ha subito un forte calo nella prima parte dell’anno. L’indagine straordinaria condotta su un campione di imprese industriali e dei servizi tra la metà di marzo e la metà di maggio prefigura una diminuzione del fatturato del 18,5 per cento nel primo semestre. Il settore più colpito è il terziario, per l’interruzione prolungata delle attività di alloggio, ristorazione e commercio al dettaglio non alimentare. Nei servizi il calo dell’attività sarà più persistente per le restrizioni ancora in vigore all’aggregazione sociale.

Le prospettive peggiori riguardano il comparto turistico, la cui ripartenza sarà molto graduale, considerando il tempo necessario per riacquistare la fiducia dei viaggiatori; in Umbria, tuttavia, il recupero potrebbe essere meno lento rispetto ad altre aree del Paese, in considerazione della bassa dipendenza dei flussi dal turismo internazionale. Anche l’edilizia ha subito gli effetti della pandemia in misura significativa: nel mese di marzo le ore lavorate si sono dimezzate; al contenimento delle perdite potrebbe contribuire, oltre ai recenti provvedimenti di incentivo, il recupero dei ritardi accumulati per la ricostruzione post- terremoto.

Sul fronte industriale la situazione rilevata dalle aziende delinea uno scenario analogo a quello della fase più acuta della crisi finanziaria globale. Il calo del fatturato è stato più accentuato per i cementifici, per le imprese inserite nelle filiere globali dell’automotive e dell’aerospace e per quelle dell’abbigliamento. Solo il settore alimentare, che nel precedente decennio aveva subito un forte ridimensionamento dell’attività, e i produttori di beni igienizzanti e sanitari hanno incrementato le vendite.

Le imprese del territorio hanno operato una significativa revisione al ribasso dei piani di investimento, che potrebbero ulteriormente risentire dell’elevata incertezza sull’evoluzione della pandemia. Il blocco delle attività ha aumentato il fabbisogno di risorse liquide; le aziende a rischio di illiquidità nei settori sottoposti a chiusura sono quasi un quarto del totale, in prevalenza di piccolissime dimensioni e concentrate nei servizi commerciali e del turismo. Le condizioni economiche e finanziarie mediamente più solide rispetto al passato consentono comunque alle imprese umbre di affrontare questa crisi con una maggiore capacità di assorbire shock negativi.

Il mercato del lavoro

Le ricadute sul mercato del lavoro sono state considerevoli. I dati sulle comunicazioni obbligatorie evidenziano dal mese di marzo una caduta del numero di assunzioni di lavoratori dipendenti di intensità superiore alla media italiana (-52,5 contro -50,9 per cento). Gli ammortizzatori sociali e le altre misure di sostegno hanno attenuato l’impatto della crisi sul mercato del lavoro. Il massiccio ricorso alla Cassa integrazione, nei primi quattro mesi superiore di otto volte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e il divieto di licenziamento hanno salvaguardato le
posizioni a tempo indeterminato. L’emergenza ha comportato sin da subito un incremento degli scoraggiati che si è riflesso in un calo della partecipazione al mercato del lavoro. In prospettiva, l’occupazione potrebbe contrarsi più decisamente rispetto al resto del Paese, in relazione alla maggiore incidenza in Umbria delle attività e delle categorie lavorative più esposte alle conseguenze economiche della pandemia (occupati nel commercio, alberghi e ristorazione; lavoratori autonomi; dipendenti a tempo determinato).

Le famiglie

Le condizioni delle famiglie umbre sono destinate a peggiorare per gli effetti dell’emergenza economica sul reddito disponibile e sul valore della ricchezza; quest’ultima alla vigilia della crisi risultava inferiore alla media italiana di oltre un settimo in termini pro capite. L’impatto negativo dovrebbe essere comunque attenuato dalle misure di supporto pubblico, dalla ricomposizione delle attività finanziarie operata dai risparmiatori negli ultimi anni a favore di una maggiore diversificazione e di strumenti più liquidi, oltre che da condizioni di sostenibilità del debito migliori rispetto alla crisi precedente. Le prospettive incerte hanno frenato i consumi delle famiglie, previsti da Confcommercio in calo del 7 per cento nell’intero 2020, e la domanda di finanziamenti. Nei primi mesi dell’anno le nuove erogazioni di mutui e di credito al consumo si sono ridotte. Dal lato della raccolta si è accentuata l’espansione delle disponibilità in conto corrente (+8,2 per cento).

Il mercato del credito

In Umbria è proseguita la ricomposizione del mercato a favore degli istituti extra-regionali, in atto da tempo per effetto delle numerose incorporazioni di banche locali. Nel primo trimestre di quest’anno si è attenuato il calo dei prestiti al settore privato non finanziario. Vi hanno influito le misure di moratoria e gli strumenti di nuova finanza previsti dal decreto “cura Italia”. In prospettiva, lo shock economico causato dalla pandemia potrebbe riflettersi in un forte peggioramento della qualità dei prestiti.

La finanza pubblica decentrata

La crisi ha determinato l’aumento delle esigenze di spesa degli enti territoriali e la riduzione delle loro fonti di entrata. Nel corso dell’emergenza, anche in Umbria sono state incrementate le risorse a disposizione del sistema sanitario per rafforzare la dotazione di posti letto in terapia intensiva, di medici e infermieri. La Regione ha inoltre destinato a sostegno del sistema economico circa 120 milioni di euro, in larga parte derivanti da una rimodulazione dei fondi del POR 2014-2020, il cui grado di utilizzo rimane in Umbria tra i più bassi nel Paese (25,8 per cento; 30,9 la media italiana). Nel 2020 gli equilibri di bilancio dei Comuni umbri risentiranno degli effetti connessi all’emergenza: a fronte di spese in gran parte incomprimibili, anche relative a investimenti in infrastrutture economiche rilevanti per la ripresa dei territori, vi saranno da fronteggiare i vincoli di liquidità connessi con lo slittamento degli incassi e con le perdite di gettito; le perdite già realizzate ammontano a quasi 30 milioni di euro. Ne ha cominciato a risentire anche la spesa per investimenti che, dallo scorso anno, aveva evidenziato segnali di ripresa grazie all’allentamento dei vincoli di bilancio.

Le prospettive di medio termine

All’inizio degli anni Duemila l’Umbria si collocava in un gruppo di regioni europee con un PIL pro capite superiore di circa un quinto alla media dell’Unione europea. La caduta dell’attività economica nella lunga fase recessiva, molto più intensa rispetto alle aree di confronto, e il più lento recupero degli ultimi anni ne hanno determinato un declino del posizionamento nel contesto europeo: il PIL pro capite regionale è sceso all’83 per cento della media.

Sull’andamento dell’economia regionale hanno inciso le forti debolezze strutturali del tessuto economico, riconducibili principalmente alla bassa produttività dei fattori, che potranno verosimilmente essere da freno alla ripresa dell’attività nella fase di uscita dalla crisi indotta dall’epidemia.

I COMMENTI

Sgalla (Cgil): «Tesei ci convochi»

«I dati economici sull’Umbria presentati da Bankitalia sono estremamente allarmanti. Ai 13 punti di Pil persi negli ultimi 10 anni se ne sommeranno almeno altri 7 dovuti alla crisi coronavirus ed al lockdown. In pratica, abbiamo perso un quinto della ricchezza di questa regione. E l’occupazione negli ultimi mesi ha subito un ulteriore colpo durissimo – afferma il segretario generale della Cgil dell’Umbria, Vincenzo Sgalla – Serve immediatamente un progetto di rilancio. La Regione Umbria convochi le parti sociali e si definisca un piano per mettere a frutto le ingenti risorse economiche che l’Europa ha messo a disposizione».

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