Lotta per il sacrosanto diritto di un padre a poter sfogliare i ricordi del figlio. E’ questa la storia di Leonadro Fabbretti, la storia di un padre che ha perso il figlio e che ora è disposto a tutto pur di poter guardare, ancora una volta, le sue foto.
La storia di Dama Leonardo, architetto di Foligno, 56 anni, ha perso il figlio lo scorso settembre. Assieme alla moglie Roberta lo avevano adottato dall’Etiopia. Dama era un bambino orfano, aveva vissuto un anno in strada e nel 2007 aveva finalmente trovato una famiglia in Italia. Poi, due anni fa, la terribile notizia: gli diagnosticano un osteosarcoma. Dopo cicli di chemioterapie e tanta sofferenza, cinque mesi fa è morto. «Qui nella sua cameretta – racconta il padre in una lettera che ha inviato a La Repubblica – c’è il suo cellulare, un iPhone 6. Quando guardo quel telefono spento penso come a una porta chiusa». Leonardo non conosce i quattro numeri del codice d’accesso per sbloccare il cellulare. «Lo trovo così ingiusto. Apple mi sta negando una parte dei ricordi di mio figlio, le ultime foto, le ultime conversazioni con gli amici».
Il pin Più volte, racconta Leonardo, ha contattato il numero verde della Apple. «Sono stati gentili, mi hanno fatto le condoglianze. Hanno aperto la pratica ma mi hanno detto che serviva il codice d’accesso per poterlo accendere». Come tutti i ragazzi, Dama cambiava spesso le quattro cifre che servono per proteggere la privacy dello smartphone. «Mi aveva dato l’accesso al cellulare con l’impronta digitale – spiega ancora il papà – pensavo bastasse quella. Invece una volta spento ho scoperto che bisogna comunque immettere quel maledetto codice. Dentro il suo cellulare ci sono le ultime fotografie che Dama ha scattato: per me sono preziose, sono i suoi ricordi. Non posso accettare che mi siano tolti».
Disperati tentativi Papà Leonardo le ha provate tutte, dopo il backup del telefono, per recuperare foto e conversazioni di mesi fa, ha addirittura cercato in rete programmi pirata per cercare di riuscire a scaricare le foto contenute dentro. Ha contattato amici ingegneri, nerd, ‘smanettoni, si è rivolto a un negozio romano specializzato in materiali informatici. Non c’è stato niente da fare, se la Apple non sblocca il terminale lui non può accedervi. «Farei qualsiasi cosa pur di poter riaccendere quel cellulare, mi può capire?Sono passati cinque mesi da quando Dama ci ha lasciato e sapere che ho qui cose che lui ha scritto o foto che ha scattato e che non posso leggere e vedere lo trovo terribile. Disumano. Mi negano i suoi ricordi».
Privacy Un’associazione di avvocati gli ha detto che ci sarebbero gli estremi per una causa. In questa storia assurda esiste certamente un problema di privacy, ma Leonardo esclude che il figlio non volesse far leggere le sue conversazioni, «mi aveva dato l’accesso tramite l’impronta digitale. Io ho ingenuamente pensato che bastasse quello». Ora l’iPhone è stato disabilitato, dopo che Leonardo ha provato tutti i codici e le combinazioni di date, ricorrenze, compleanni che ipotizzava Dama potesse aver scelto. Leonardo intanto è determinato a portare avanti la sua battaglia. «Non mi arrenderò, Dama era anche minorenne. Non voglio che quello che rimane della sua vita mi sia sottratta così». Qualora la Apple non acconsentisse a sbloccare il telefono del figlio chiederà i danni, per poi devolvere in beneficenza i soldi al centro aiuti per l’Etiopia, l’associazione attraverso la quale hanno adottato Dama. «Capisco la privacy – conclude – ma se all’interno di un telefono disabilitato ci fosse la password per bloccare l’esplosione di una bomba atomica piazzata dai terrorista a Roma? Cosa facciamo, la facciamo esplodere?»