Dopo le partite Iva – lunedì sera – scendono in piazza i ristoratori e gestori dei locali del gruppo HoReCa – riuniti dalla Fipe, la federazione pubblici esercizi – e visto che, dopo le 18, non possono apparecchiare i loro tavoli, apparecchiano la piazza con mega tovaglie, posate, bicchieri e tovaglioli. Verrebbe quasi voglia di sedersi lì, a terra, a gambe incrociate, a pranzare in mezzo alla piazza. C’è un flashmob, con volantini a ricordare i tanti lavoratori del settore che rischiano di rimanere senza lavoro. Infine il suono luttuoso del ‘silenzio’ con la tromba.
Mencaroni: «Chi sbaglia va sanzionato, ma gli altri lasciamoli lavorari»
«Se qualche ristoratore ha sbagliato in questi mesi doveva essere sanzionato e magari fatto chiudere – dice Giorgio Mencaroni di Confcommercio – ma non si capisce per quale motivo si sia attuato un provvedimento generalizzato facendo passare tali locali come pericolosi quando invece sono molto più sicuri di altri che restano aperti».
«Molti di noi chiuderanno»
Dopo aver fatto tutte le restrizioni, dopo aver portato il mondo della ristorazione e di tutti i servizi a livelli molto bassi, dopo aver imposto regole stringenti a cui i ristoratori si sono uniformati, ora la chiusura alle 18 costituisce il colpo di grazia. «La ristorazione è a terra, per questo abbiamo apparecchiato a terra – dice Carlo Ghista presidente dell’associazione provinciale cuochi Terni – molti di noi dichiareranno fallimento perché non ce la fanno ad andare avanti».
«Abbiamo la prenotazione obbligatoria e tracciamo tutti»
«Era stato fatto tutto anche bene da parte del governo – gli fa eco dice Francesco Favorito dell’associazione perugina – con un sistema di tracciamento, con obbligo di prenotazione e distanziamento, che ci consentiva di lavorare: non si riesce a capire come mai noi che abbiamo la prenotazione obbligatoria siamo costretti a chiudere. Speriamo che il governo riveda queste indicazioni. Speriamo che da qui al 24 novembre ci facciano riaprire: noi non vogliamo alcun tipo di ristoro, vogliamo solo lavorare».
La protesta pacata ma ferma (interviste video di Massimo Pompei)