Rogo Biondi, fatalità o dolo ‘da dilettanti’?

Perugia, frenetica l’attività di indagine sia nel deposito sia all’esterno. Al vaglio le immagini delle telecamere. Prende corpo l’idea del rogo volontario. Ma chi lo ha fatto? E perché non ha bruciato tutto?

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Innanzitutto bisogna capire se davvero – come si pensa in queste ore – l’incendio alla Biondi Recuperi di Ponte San Giovanni, a Perugia, sia davvero stato doloso. Dopodiché, se l’ipotesi venisse accertata, arriva la parte più complicata: capire chi lo ha fatto e perché. Ma di certo, se l’intento era distruggere il deposito, almeno quello è fallito.

LA PORZIONE DI IMPIANTO MESSA SOTTO SEQUESTRO – VIDEO DALL’ALTO

Lavoro ‘pessimo’ o chirurgico?

«Certo, se era doloso, hanno fatto un pessimo lavoro…»: la frase – buttata lì da un addetto ai lavori – non è certo campata in aria. Alla fine è bruciata solo una piccola parte dell’impianto e l’innesco è stato trovato quasi subito, sotto un cumulo di cartoni non ancora differenziati. Se l’obiettivo era distruggere il deposito, il piano non è riuscito, grazie innanzitutto al tempestivo intervento dei vigili del fuoco (che hanno circoscritto, con l’aiuto di alcuni operai, il nucleo dell’incendio, creando una linea tagliafuoco) ma anche in virtù di un ‘lavoro’ quantomeno superficiale. A far partire l’incendio senza dubbio qualcuno che era dentro l’impianto, vista la posizione dei rifiuti, il che escluderebbe l’ipotesi atto vandalico compiuto dall’esterno: i cumuli a ridosso dei muri di cinta, che anche umbriaOn aveva immortalato nei giorni precedenti il rogo, non sono stati toccati dalle fiamme. 

INTANTO A TERNI È POLEMICA SULL’INCENERITORE

Inquirenti al lavoro

Ne conseguono alcune considerazioni: o l’incendio non era doloso oppure era doloso ma è venuto male oppure ancora l’obiettivo non era bruciare tutto l’impianto ma solo una parte. Per quale motivo? Dare un segnale? Eliminare delle prove? E chi lo avrebbe fatto? Domande a cui dovranno dare risposte gli inquirenti. Al lavoro ci sono il pubblico ministero Laura Reale, titolare dell’indagine, i carabinieri del Noe guidati dal maggiore Francesco Motta e quelli di Ponte San Giovanni, coordinati dal maresciallo Mirko Fringuello. C’è poi il nucleo investigativo dei vigili del fuoco che nelle prossime ore (forse già nel pomeriggio di martedì) relazionerà sull’accaduto. A stretto giro arriveranno anche i resoconti sulle immagini delle telecamere (al vaglio dei carabinieri), sia quelle della Biondi che dei magazzini circostanti. E saranno ascoltati anche i testimoni, alcuni dei quali avrebbero visto alcune persone aggirarsi con fare sospetto attorno all’impianto nel pomeriggio di domenica. 

Tutte coincidenze?

Ma se, da un lato, una prima analisi farebbe propendere per un rogo accidentale; dall’altro, le deduzioni logiche lasciano ampio spazio all’ipotesi dolosa. A cominciare dalla coincidenza temporale: il deposito è andato a fuoco di domenica, a macchinari spenti e senza che vi fossero operai al lavoro (situazione ideale per un lavoro pulito e per ritardare l’allarme). Inoltre ha riguardato solo i rifiuti, tanto che – come confermato dal legale dell’azienda, Michele Bromuri – già da lunedì l’impianto ha ricominciato a lavorare, visto che quella messa sotto sequestro è solo «una piccola porzione». Infine c’è l’aspetto che accomuna questo rogo ad altri che si stanno verificando in tutta Italia (basta dare uno sguardo alla mappa pubblicata domenica da umbriaOn): una recente sentenza del Consiglio di Stato ha reso più farraginoso e più oneroso lo smaltimento di alcune tipologie di materiale che quindi, all’improvviso, hanno cominciato ad andare a fuoco per ‘autocombustione’.

I problemi finanziari della Biondi

Infine, c’è la situazione societaria della Biondi, ricostruita oggi da La Nazione. L’azienda avrebbe avuto seri problemi di liquidità, per via di crediti non riscossi, e per questo avrebbe accumulato debiti tali che l’hanno portata sull’orlo del crack. Ci sarebbe questo dietro l’affitto del ramo d’azienda con cui la Biondi Recuperi avrebbe ceduto alla Biondi Ecologia la gestione dell’impianto. Nel 2013, piuttosto che fallire, l’impresa decise di avanzare proposta di concordato preventivo liquidatorio al tribunale di Perugia, attività di dismissione e liquidazione che dovrebbe terminare nel giugno di quest’anno, ma che ora, dopo l’incendio e il relativo sequestro, si complica.

Le posizioni di M5S e Lega

Intanto, dal Movimento Cinque Stelle arriva la richiesta – inviata a Catiuscia Marini, Donatella Porzi e Carla Casciari – di riunire la Seconda Commissione in seduta permanente, ponendo prioritariamente all’ordine del giorno il Piano rifiuti e la vicenda Auri. Inoltre, Maria Grazia Carbonari e Andrea Liberati chiedono di effettuare visite ispettive presso gli impianti di gestione del servizio rifiuti. Infine, si chiede di informare ufficialmente la Commissione Ecomafie dell’accaduto anche in vista del suo ritorno in Umbria, previsto per il 19 marzo. Dalla Lega, Luca Briziarelli ha ricordato come sia stato disposto, con una circolare del Ministro degli Interni Salvini, l’inserimento dei siti di stoccaggio dei rifiuti tra gli obiettivi sensibili da considerare nei piani strategici predisposti dalle Prefetture. Inoltre, il senatore ha ricordato come in virtù del decreto Salvini la Biondi Recuperi avrebbe dovuto adeguarsi alle direttive sul piano antincendi entro lo scorso 4 marzo.

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