Edifici v. Brin/Braccini Terni, Consiglio Stato blocca la demolizione

Battaglia legale sugli immobili ed il recupero: in appello confermata la sentenza del Tar Umbria, stop al piano attuativo di iniziativa privata. Mirino anche su volumetrie e altezza

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di S.F.

Le strutture in questione viste da viale Brin

Niente demolizione e annullamento della delibera di giunta comunale 362 del 2013 in merito all’approvazione del piano attuativo di iniziativa privata per il recupero di alcuni edifici all’angolo fra viale Brin e via Braccini, a pochi metri da piazza Valnerina. Si dovrà procedere  – salvo nuove idee – come stabilito da un vecchio atto del 20 marzo 2000 legato alle zone di Sant’Agnese, vie ‘regionali’ e borgo Bovio, ovvero con la mera ristrutturazione senza necessità di tirar giù nulla: la sentenza pubblicata lunedì è della quarta sezione giurisdizionle del Consiglio di Stato che, in questo modo, chiude una vicenda iniziata nel 2014 con un ricorso depositato al Tar Umbria da alcuni cittadini contro il Comune di Terni. Al centro dell’attenzione diversi aspetti.

L’origine della contesa

In sostanza a ricorrere al Tar – difesi dall’avvocato Umberto Segarelli – furono alcuni proprietari di unità immobiliari in edifici confinanti dopo il respingimento delle loro osservazioni. In primis è stato sollevato il fatto che il piano di recupero era già interesato da una delibera di anni prima che, appunto, prevedeva la ristrutturazione con incremento volumetrico di 650 metri cubi e passaggio da 3 a 4 piani e altezza da 12 a 13 metri. Si tratta di un’area classificata al Prg nell’ambito ‘nuclei di conservazione e completamento’. Invece l’iniziativa privata presentata dall’Immobiliare Falasca & Tonelli srl (più alcuni cittadini) stabiliva l’integrale demolizione con ricostruzione di un immobile da quasi 19 metri (6 piani) ed aumento volumetrico in applicazione della premialità del 25% per edifici di classe energetica A. Diverse i motivi di ricorso esposti: l’impropria riconducibilità dell’intervento nella categoria ‘ristrutturazione edilizia’, l’inglobamento di una fascia d’area demaniale estranea alla particella 174 con difetto di legittimazione dei proponenti, il distacco dal fronte dell’edificio di via della Bardesca di ‘soli’ 5 metri e non dei 10 previsti e la violazione del limite di distanza (5 metri) tra il perimetro del lato interno e il confine della particella in questione. Inoltre il restyling avrebbe chiuso su tre lati l’ambito interno sul quale si prospettano le facciate interne della palazzina in via della Bardesca. Il Tar con sentenza del giugno 2015 accolse, annullando la delibera di giunta. Quindi il ricorso al Consiglio di Stato.

La seconda partita: cubatura e altezza

A ricorrere in appello contro i proprietari delle unità confinanti in appello ci ha pensato l’Immobiliare Falasca & Tonelli – difesa dall’avvocato Giovanni Ranalli -, mentre il Comune non si è costituito in giudizio. Tutto respinto: l’irricevibilità per tardività, la mancata impugnazione dell’atto di adozione del piano attuativo, la declaratoria di sussistenza dell’interesse e della legittimazione ad agire, ma soprattutto la qualificazione come ‘nuova costruzione’ invece di ‘ristrutturazione edilizia’. In premessa il Consiglio di Stato sul tema ricorda che l’intervento è «costituito dalla demolizione di tre edifici collocati nell’area ricompresa fra le vie Brin e via Braccini e parte da uno stato di fatto che riguarda un cubatura edificata pari a 4.500 mc, mentre lo stato di progetto prevede di arrivare, attraverso il preteso riconoscimento di una serie di premialità edilizie, alla realizzazione di circa 7.546,54 mc». Con altezza da 12,20 a 18,92 metri. «Secondo l’appellante sarebbe corretto il provvedimento comunale che ha tenuto conto delle ‘previsioni inerenti le quantità (quindi la volumetria) e la destinazione d’uso e che ha autorizzato l’intervento tenendo conto della cubatura indicata nel piano di recupero del 2000 e che l’incremento è consentito dalla normativa vigente’». Giudizio? L’assunto «è palesemente errato». Inoltre «non assume alcun rilievo la circostanza che, in una precedente vicenda, il Tar abbia ritenuto legittimo il piano attuativo che prevedeva un incremento di volumetria e di altezza degli edifici. La deduzione, oltre ad essere estremamente generica, poiché non vengono chiariti gli aspetti salienti della vicenda che si assume essere stata scrutinata diversamente, è in ogni caso irrilevante, perché la legittimità dell’atto in esame va giudicata in ragione delle norme e degli strumenti urbanistici sovraordinati e non in considerazione di precedenti giurisprudenziali».

Il tessuto edilizio e l’esito 

ll Consiglio di Stato ricorda poi che per il Tar «la circostanza dirimente per qualificare quanto progettato come ‘nuova costruzione’ e non come ‘ristrutturazione edilizia’, è che l’intervento edilizio oggetto del piano attuativo sia sensibilmente diverso dal tessuto edilizio esistente. In particolare, il Tar ha operato tale qualificazione, prendendo in considerazione le caratteristiche dell’opera e rilevando come, pur essendo la legge della regione Umbria, più estensiva rispetto a quella nazionale, la normativa regionale richiederebbe comunque il ‘mantenimento della superficie utile coperta’, il che non avverrebbe, nel caso di specie, in ragione dell’incremento volumetrico e di altezza degli edifici preesistenti nell’ambito della loro asserita ‘ristrutturazione’. Il Collegio ritiene pienamente condivisibile il percorso logico-argomentativo seguito dal Tar e corrette le conclusioni che vengono tratte in punto di qualificazione dell’intervento edilizio assentito». Giocoforza respinto anche il motivo di ricorso per «l’errata qualificazione dell’intervento edilizio come ‘nuova costruzione’ che determina l’erroneità della decisione anche in ordine alla presunta violazione delle distanze legali». Sentenza del Tar confermata, niente demolizione per ora.

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