Comune Terni-Telecom ‘Progetto Socrate’: infinita contesa

Nel 1997 la firma del protocollo d’intesa per la cablatura con rete mista, poi solo guai e ricorsi: la società stoppata dal Tar

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Sviluppo ottico coassiale rete accesso Telecom, in una parola ‘Socrate’. Il famoso progetto – riguardante l’intera penisola – per realizzare la cablatura con rete mista: la storia a Terni inizia nel novembre 1997 e da allora, in sostanza, sono stati solo guai. Con tanto di liti giudiziarie e diversi pronunciamenti per via della sospensione dei lavori ad opera non ultimata. Siamo nel 2020 e la contesa con il Comune è ancora attiva, a tal punto che il Tar Umbria in settimana ha sentenziato sul ricorso depositato nel 2016 da parte della società di telecomunicazioni. Ora costretta a pagare le spese legali a palazzo Spada per 1.500 euro.

Flashback: stop e scontro

Una vicenda che pone le sue basi l’11 luglio 1997, quando il Comune e Telecom sottoscrivono il protocollo d’intesa per procedere con il progetto e completarlo entro il 2000. Nulla di tutto ciò: la cablatura fu realizzata – parzialmente, oltretutto – in zona San Valentino e nel centro cittadino. Motivo? La scelta unilaterale della società di non finire l’opera avviata nella sua libertà di iniziativa imprenditoriale. Tutto ciò viene comunicato l’11 maggio del 2004, con comodo. Due mesi e l’amministrazione – allora il sindaco era Paolo Raffaelli – emanò un’ordinanza per la demolizione di ciò che era stato fatto e il ripristino delle aree. Si sviluppa il primo scontro in tribunale con il ricorso al Tar di Telecom: accoglimento, contromossa del Comune – Consiglio di Stato – e nuovo ribaltamento nell’aprile del 2015 perché «a fronte dell’incontestato inadempimento in relazione agli impegni assunti con il protocollo d’intesa, era venuto a mancare il titolo della occupazione del suolo stradale con le strutture di che trattasi, la cui permanenza non trovava più alcuna ragion d’essere e costituiva fattore di pericolo». Siamo già a diciotto anni dalle firme del documento. Ma si prosegue.

Atto secondo: la sanatoria

Il Comune insiste e il 26 maggio del 2015 – ora c’è Leopoldo Di Girolamo a guida della giunta – c’è una nuovo ordine inviato a Telecom per la ‘solita’ demolizione. Risultato? Lo stesso, c’è l’impugnazione al Tar. Con novità: viene presentata un’istanza di accertamento di conformità delle opere. L’amministrazione rifiuta e la società, in risposta, propone motivi aggiunti – su questo aspetto – rispetto al ricorso già depositato. Nel dicembre dello stesso anno il tribunale lo dichiara inammissibile in merito all’ordinanza di demolizione, ma accoglie la seconda parte: la conseguenza è l’annullamento dell’irricevibilità dell’istanza sulla sanatoria. A questo punto a fare pressione è Telecom: siamo in avvio di 2016 e viene chiesto al Comune di dare esecuzione alla sentenza e, dunque, riesaminare l’accertamento di conformità.

Il silenzio-rifiuto

Il Comune avvia il procedimento chiedendo un’integrazione documentale a Telecom. Si bisticcia anche su questo: la società risponde che non c’è bisogno perché le opere – a suo tempo – erano state autorizzate dal Comune di Terni e quindi «non vi erano infrastrutture da sanare o realizzate in assenza del titolo edilizio». L’amministrazione non ha mai firmato un documento conclusivo dell’iter. Altra ragione di lite. Ed ecco che scatta il nuovo ricorso per il ‘silenzio-rifiuto’ da parte di palazzo Spada con richiesta di annullamento del provvedimento negativo formatosi. Se ne è parlato lo scorso giugno, ventitré anni dopo la firma del protocollo d’intesa. Gli avvocati coinvolti sono Edoardo Giardino, Paolo Gennari e Francesco Silvi. 

La sentenza del Tar

Il Tribunale amministrativo regionale nel giudicare puntualizza che «la richiesta di integrazioni documentali formulata dal Comune di Terni una volta riavviato il procedimento aveva riguardato, tra le altre cose, la ‘documentazione comprovante la legittimazione a presentare l’istanza, sia da parte del soggetto pubblico che da parte dei soggetti privati, rispettivamente per le opere ricadenti su aree di proprietà demaniali e quelle di proprietà privata’. La richiesta istruttoria riguardava, a ben vedere, la documentazione del possesso di un titolo che permettesse a Telecom il mantenimento delle opere ricadenti su aree di proprietà demaniali. Tale legittimazione, all’epoca in cui furono rilasciate le autorizzazioni alla costruzione delle infrastrutture di cui si discute, discendeva dal protocollo d’intesa stipulato tra il Comune di Terni e Telecom per la realizzazione del ‘progetto Socrate’. Sennonché Telecom, pur avendo avviato le opere previste, ne ha poi abbandonato unilateralmente e senza giustificato motivo il completamento, ciò che ha determinato il sopravvenuto difetto del titolo legittimante l’occupazione del suolo pubblico. Né la società ricorrente, nel procedimento di accertamento di conformità di cui si discute, ha dimostrato di avere un nuovo e diverso titolo per il mantenimento delle opere su aree demaniali. Anzi, in risposta all’invito dell’amministrazione ad integrare la documentazione a sostegno dell’istanza di accertamento di conformità, Telecom si è limitata a richiamare le autorizzazioni ricevute per i singoli interventi in un’epoca in cui la stessa società non aveva ancora dichiarato di avere deciso, per ‘libera iniziativa imprenditoriale dell’azienda’, di non completare la realizzazione del progetto di cablatura del territorio di Terni».

Titoli e occupazione

Il Tar inoltre specifica che «la necessità di un nuovo titolo per l’occupazione delle aree demaniali interessate dalla presenza dei manufatti di cui si discute è, del resto, evidenziata anche nella nota del Comune di Terni del 28 maggio 2020, depositata da Telecom il 4 giugno 2020 a corredo dell’istanza di rinvio della discussione. In detta nota si evidenzia la mancanza di titolo dell’occupazione del bene pubblico (suolo e sottosuolo) adibito alla circolazione stradale per effetto del venir meno, con l’inadempimento del protocollo d’intesa, degli atti di natura concessoria che a suo tempo avevano legittimato l’occupazione, e si indica, ai fini dell’eventuale futuro accertamento di conformità delle opere, la necessità che Telecom ottenga un nuovo titolo concessorio, previa presentazione e valutazione di una proposta progettuale di adeguamento e utilizzazione delle infrastrutture». Doppio ‘no’ per la società: «Telecom, a fronte del silenzio diniego maturato sull’istanza di accertamento di conformità, non ha dato dimostrazione, in relazione al dirimente profilo appena evidenziato, dell’effettiva sussistenza delle condizioni per la sanatoria delle opere. Con il secondo motivo di ricorso, Telecom deduce che la formazione per silentium del provvedimento negativo oggetto di causa violerebbe l’art. 10-bis della legge n. 241/1990, che, nei procedimenti ad istanza di parte, obbliga l’amministrazione, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, a comunicare tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Critica non condivisibile». Ricorso respinto. Si chiude così? Vedremo.

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