di S.F.
Un’autorizzazione unica ambientale concessa dalla Provincia di Terni per uno scarico in pubblica fognatura dei reflui industriali legati all’attività di produzione e vendita di olio. Fu concessa nel 2015 al titolare di un frantoio di via San Valentino e, a stretto giro, fu in parte revocata dalla Regione in seguito ad una visita ispettiva della polizia provinciale e dell’Arpa: arrivò la comunicazione del superamento dei limiti tabellari – via libera in deroga, il fulcro della storia – per l’azoto ammoniacale, fosforo, grassi e olii. Da qui lo stop. Peccato che più di qualcosa non fu svolto correttamente nel corso dell’iter: a distanza di anni il Tar Umbria ha condannato l’amministrazione di palazzo Donini e dell’Ati 4 dopo l’accoglimento del ricorso. Atti impugnati annullati.
L’inizio della contesa
Di mezzo c’è anche una nota dell’Ati (Ambito territoriale integrato) 4 riguardante la volontà di revocare il proprio parere favorevole in riferimento alla deroga per i limiti dello scarico in pubblica fognatura. Il check del frantoio – con prelievo di un campione dello scarico, acqua di vegetazione – andò in atto il 24 novembre del 2015. Subito guai: il titolare ha contestato la metodologia in «quanto inidonea a garantire la rappresentatività del reperto e la correttezza dell’analisi, dovendo il campione essere ottenuto attraverso vari prelievi eseguiti in un arco di tempo prolungato e comunque non inferiore ad una giornata lavorativa, con frequenza oraria o semioraria». Fatto che nel gennaio 2016 ci sono gli esiti e il verbale di contestazione; il 26 dello stesso mese la Regione agisce e revoca in parte qua l’Autorizzazione unica ambientale per lo scarico in deroga rispetto ai limiti tabellari.
Difetto di comunicazione
Il titolare ha impugnato la determina regionale per l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria ed imperizia sulle modalità di svolgimento delle attività di campionamento, nonché dell’analisi dei reperti. A ciò si aggiunge la richiesta di condanna dei resistenti – in giudizio si sono costituiti la Regione e l’Ati 4, difesi rispettivamente dagli avvocati Anna Rita Gobbo e Folco Trabalza – per il risarcimento del danno in misura pari al fatturato della stagione olearia 2015-2016. «Le Amministrazioni resistenti – si legge nella sentenza – replicano che l’obbligo di cui all’articolo 7 della legge generale sul procedimento amministrativo sarebbe stato assolto con l’invio del documento allegato della memoria di costituzione della Regione Umbria, recante ‘comunicazione avvio del procedimento ai sensi dell’art.7 della L.241/90 in relazione all’ art. 5, comma 5, del Dpr 59/2013, a seguito nota di Ari 4 prot. 80 del 19 gennaio 2015. Deve però rilevarsi che non risulta depositata in atti alcuna evidenza documentale né dell’invio né della consegna al ricorrente del documento citato. Se veramente la comunicazione di avvio del procedimento fu trasmessa a mezzo Pec, come sembrerebbe dal documento allegato, allora quest’ultima avrebbe potuto agevolmente dimostrare la sua trasmissione ed il suo recapito producendo in giudizio la ricevuta di accettazione (ovvero la ricevuta, sottoscritta con la firma del gestore di posta elettronica certificata del mittente, contenente i dati di certificazione rilasciata al mittente dal punto di accesso a fronte dell’invio di un messaggio di Pec) e la ricevuta di avvenuta consegna (ovvero la ricevuta sottoscritta con la firma del gestore di posta elettronica certificata del destinatario, emessa dal punto di consegna al mittente, nel momento in cui il messaggio è inserito nella casella di Pec del destinatario). Tale documentazione non è stata prodotta in giudizio, risultando pertanto non provato l’effettivo invio al sig. Contessa della comunicazione di avvio del procedimento». Motivo fondato e accolto.
Depurazione e ambiente
Altra questione – la lamentela del ricorrente – è l’insussistenza dei presupposti in presenza dei quali, in astratto, «l’autorizzazione in deroga avrebbe potuto essere revocata e, per altro verso, del difetto dei presupposti e del travisamento dei fatti in base ai quali l’amministrazione ha ritenuto di revocare l’autorizzazione per garantire la funzionalità dell’impianto di depurazione ‘Terni 1’». Dall’altro la replica è basata sul fatto che le rimostranze «sarebbero infondate perché la revoca per cui è giudizio non sarebbe fondata sulle disposizioni di cui all’art. 130 del d.lgs. n. 152/2006, bensì su quelle di cui all’art. 5, c. 5, del Dpr. n. 59/2013 e sarebbe motivata dalle difficoltà di funzionamento incontrate dall’impianto di depurazione ‘Terni 1’ nel periodo di molitura delle olive». Il Tar nel giudicare ricorda in primis che il provvedimento di palazzo Donini fu motivato dalla nota dell’Ati 4, con la quale comunicava «l’intenzione di revocare la deroga ai limiti tabellari per lo scarico in pubblica fognatura in moto da garantire il corretto ed efficiente funzionamento del depuratore denominato Terni1». Poi entra nel merito: «Tanto il riferimento al superamento dei limiti autorizzati in deroga, quanto quello alla pregressa irrogazione di sanzioni per analoghe violazioni – 2013 e 2014 – lascerebbero intendere che le amministrazioni resistenti abbiano adottato una revoca-decadenza per sanzionare l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione allo scarico. Ai sensi dell’art. 130 del d.lgs. n. 152/2006, però, una revoca così connotata avrebbe potuto essere disposta solo previa diffida con indicazione di un termine per l’eliminazione delle inosservanze accertate ovvero in caso di reiterate violazioni tali da determinare una situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente. Nel caso di specie, non risulta essere stata inviata alcuna previa diffida, né si rinvengono nelle motivazioni del provvedimento impugnato riferimenti a situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente. La circostanza secondo cui la ditta in questione sarebbe stata destinataria di sanzioni per analoghe infrazioni negli anni 2013 e 2014 non trova riscontro nella documentazione in atti. Infine, con riguardo alle dichiarate difficoltà di funzionamento del depuratore ‘Terni 1’ manca, negli atti del procedimento conclusosi con il provvedimento di revoca impugnato, qualsiasi evidenza istruttoria che consenta di apprezzare le difficoltà di funzionamento dell’impianto di depurazione e l’incidenza rispetto ad esse dell’attività del frantoio dell’odierno ricorrente».
Il campionamento
Non è finita. Il titolare del frantoio ha tirato in ballo anche la violazione del diritto alla revisione in contraddittorio delle analisi sul campione, l’incertezza sulle modalità ed i tempi di conservazioni, nonché le modalità eseguite per il prelievo «tali da non permettere l’acquisizione di un campione veramente rappresentativo del refluo da analizzare». C’è il ‘sì’ parziale del Tar: «Merita accoglimento – viene specificato nell’ordinanza – la doglianza relativa alle modalità seguite dagli ispettori per la raccolta del campione di refluo, operazione di particolare delicatezza in considerazione della necessità che la porzione di materia acquisita per essere sottoposta ad analisi sia effettivamente rappresentativa della matrice al fine di avere la ragionevole certezza che le proprietà misurate nel campione siano le stesse della massa di origine. La disposizione prevede che l’autorità preposta al controllo possa, con motivazione espressa nel verbale, effettuare il campionamento su tempi diversi, ma ciò è consentito qualora lo giustifichino particolari esigenze – quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione dello scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso) e dal tipo di accertamento – e solo al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico. La raccolta del campione medio prelevato nell’arco di tre ore costituisce il metodo ordinario di campionamento; nel caso di specie, la scelta degli ispettori di seguire un metodo di campionamento diverso da quello ordinario non appare sorretta dalla necessità di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico in relazione alle caratteristiche del medesimo: il campionamento è stato effettuato con prelievo istantaneo pur in presenza di uno scarico proveniente da un ciclo produttivo indicato in motivazione come ‘costante nel tempo’, caratteristica che non impediva un campionamento medio nell’arco di tre ore».
No al risarcimento
Niente condanna per Regione e Ati 4 in merito al risarcimento vista la mancanza di prove positive del danno subito: «La revoca per cui è causa non ha determinato l’impossibilità di qualsiasi scarico nella pubblica fognatura, ma ha soltanto impedito il superamento dei livelli ordinariamente stabiliti dalla tabella n. 3 dell’allegato 5 alla parte III del d.lgs. n. 152/2006». Per le amministrazioni resistenti ci sono 1.000 euro ciascuno da pagare per le spese legali. L’avvocato che ha difeso il titolare del frantoio è Maria Di Paolo.