di S.F.
Un’ordinanza di riconsegna degli immobili liberi da persone e cose, la volontà di procedere con un bando pubblico per l’assegnazione dell’area e la strenua resistenza di chi, dall’altro lato, ha gestito quello spazio per più di vent’anni e non vuol chiudere di punto in bianco. Sono i principali ingredienti del braccio di ferro iniziato nel novembre 2013 tra il Comune di Terni, che vuole l’area a disposizione dopo aver fermato le concessioni amministrative, e l’impresa individuale Rosa Pellegrini: l’ultima puntata di una storia destinata a proseguire è andata in scena giovedì mattina al Consiglio di Stato. L’attenzione è sul campeggio a pochi passi dalla cascata delle Marmore.
Il casus belli
La battaglia giudiziaria inizia il 28 novembre con il ricorso depositato dall’impresa impegnata nella gestione del camping dal 1994. Motivo? Il Comune a fine ottobre di quell’anno aveva ordinato di sgomberare l’area – siamo in località Campacci di Marmore – fissando la data del 31 dicembre come tempo limite, negando oltretutto la proroga temporanea per continuare a fruirne: il tutto perché l’amministrazione aveva intenzione di procedere con un bando pubblico e aprire una nuova fase. Quindi addio concessione e pagamento del canone per proseguire. A palazzo Spada si fa forza sull’occupazione senza titolo dello spazio.
«L’area non è tutta del Comune»
L’impresa ovviamente non è concorde e, tra le varie lamentele che presenta al Tar dell’Umbria, ne spicca una: il fatto che le aree destinate a campeggio sono in gran misura di proprietà dell’Ast, un’altra in capo alla Regione Umbria e la restante al Comune di Terni. Dunque? «Nessuna rientra nel patrimonio indisponibile dell’ente con la conseguenza che il Comune non ha il potere di esercitare l’azione amministrativa in autotutela». Da ciò deriverebbero – sempre secondo il ricorrente – una serie di violazioni e false applicazioni di leggi che porterebbero alla nullità del provvedimento: in sostanza l’ordinanza di sgombero non potrebbe essere fatta perché palazzo Spada ne è titolare di proprietà solo in forma limitata.
La prima analisi del Tar Umbria
Arriviamo all’ottobre 2014 e c’è la prima sentenza – in precedenza c’era stata un’ordinanza cautelare a favore dell’impresa – del Tar: «Nei vari provvedimenti di concessione annuale depositati emerge il completo disinteresse dell’amministrazione nell’imposizione di obblighi di servizio pubblico a tutela della collettività, quali la continuità e doverosità e/o la sottoposizione ad un regime regolatorio delle tariffe, si da far ritenere l’attività in questione quale libera attività di impresa. Ciò premesso, risulta del tutto indimostrata dal Comune l’asserita appartenenza dell’area de qua al patrimonio indisponibile comunale (né tantomeno al demanio); infatti, ai sensi dell’art. 826 c.c. non si rinviene come il bene in esame possa ricomprendersi tra detti beni, tranne per l’ipotesi, di cui all’ultimo comma, di destinazione ad un pubblico servizio, destinazione tuttavia negata dalla stessa amministrazione. Ritiene tuttavia il collegio che indipendentemente dalla qualificazione del bene in questione e del servizio di gestione del campeggio quale servizio pubblico, l’attività di cui si chiede annullamento presenti carattere autoritativo limitatamente al diniego di proroga del contratto in luogo dell’esperimento di evidenza pubblica, tale da radicare in parte qua la giurisdizione di legittimità del giudice adito; infatti, trattandosi di terreni comunque di proprietà comunale, risulta decisivo il rilievo secondo cui l’amministrazione, una volta deciso di volerli concedere ad un soggetto privato, ai sensi dell’art. 3, comma 1 R.D. n. 2240/1923 ed in applicazione dei principi di trasparenza, eguaglianza e non discriminazione, deve indire un procedimento di evidenza pubblica, per darli in concessione al migliore offerente, sia perché da tale concessione il Comune ricava un’entrata, sia perché la concessione di un bene pubblico costituisce un’occasione di guadagno per il soggetto privato che utilizza tale bene». Il risultato è che i magistrati respingono parte delle motivazioni e per il resto dichiara il difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario.
Passi recenti, il Comune ci riprova nel 2017
La sfida giudiziaria prosegue e nel contempo l’attività a Marmore continua. In avvio di 2017 l’ente torna in azione: atto ingiuntivo per lo sgombero entro il 20 febbraio in quanto il possesso delle aree per il campeggio è ancora una volta qualificata come occupazione senza titolo. C’è inoltre la richiesta di pagamento della relativa indennità. Il leitmotiv non cambia. Così come lo sviluppo e la tipologia di provvedimenti del Tar: cautelare accolta a favore dell’impresa e successiva dichiarazione di difetto di giurisdizione (novembre di due anni fa, a stagione estiva conclusa da un bel po’). Trascorrono mesi e si arriva all’ordinanza del Tar Umbria del 4 giugno scorso: «La concessione amministrativa avente ad oggetto l’attività di campeggio svolta dalla ricorrente è scaduta nel 2013». Conseguenza: «Si ritiene di dover respingere la domanda di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, non essendovi alcuna posizione soggettiva da tutelare in capo alla ricorrente». Mica finisce qua.
Il Consiglio di Stato ‘boccia’ l’istanza dell’impresa
La Rosa Pellegrini nel contempo procede – anche per l’ultima estate, dove sono stati registrati circa 5 mila arrivi e un continuo movimento, in particolar modo di turisti stranieri – e fa appello al Consiglio di Stato per la riforma del giudizio del Tar Umbria. L’esito non muta: giovedì mattina la V° sezione giurisdizionale del presidente Francesco Caringella ha respinto l’istanza dell’impresa condannandola alle spese per 1.000 euro. Alla base della decisione «la legittimità dell’azione amministrava posta in essere con gli atti gravati volta a recuperare l’area di proprietà comunale allo stato utilizzata sine titulo dall’appellante al fine di porre in essere una procedura di evidenza pubblica per il suo affidamento». Tutto ciò a sei anni dal ricorso iniziale. Si proseguirà: il Tar Umbria si dovrà esprimere nel merito per chiudere la partita. La sensazione è che la storia andrà avanti ancora a lungo.
«Perché chiudere in attesa del bando? Danno per tutti»
Un’instabilità che sta logorando chi nel campeggio – ci sono turisti presenti anche in questo weekend – ha investito gran parte del suo tempo negli ultimi due decenni: a difendere l’impresa ci sono Giovanni Ranalli, Massimo Luciani e Fabrizio Garzuglia. «Il Consiglio di Stato ha detto – spiega quest’ultimo – che il Comune deve fare un bando e noi non siamo contrari. Ma da anni diciamo all’ente di non far chiudere il campeggio perché il danno è per una famiglia intera che ci vive; oltretutto il Comune ci incassa circa 5 mila in quattro mesi per la tassa di soggiorno. Non è vero che la signora non paga gli affitti, il problema è che in una situazione d’incertezza è diversa la qualificazione tra indennità e affitto: in definitiva non gestisce l’attività in forma abusiva. Noi diciamo che il servizio deve continuare mentre si fa la procedura di bando: perché chiudere un’attività che è unica in quella zona e che dà un servizio del genere? Ripeto, ha sempre fatto il suo lavoro in modo legittimo ed è una situazione paradossale. Per ora non c’è una sentenza che definisce tutto, il Tar Umbria dovrà decidere se annullare o confermare la diffida. Mi sembra ci sia un’ingiustizia sostanziale in tutto ciò, senza contare che l’aspetto umano è stato totalmente trascurato: con il Comune abbiamo tentato un approccio collaborativo da sempre». Il legale del Comune è Paolo Gennari.