«Da luglio ad oggi ho visto mio figlio solo per due ore, a gennaio. Quando lo sento al telefono, piange e basta e a volte non ho neppure la forza per rispondere. Vorrei poterlo vedere più spesso ma nessuno mi aiuta, anche se ho la patria potestà (mentre al marito è stata tolta, ndR) e il tribunale ha imposto alle istituzioni ed ai servizi sociali di sostenermi. Tutti se ne fregano e io non so più che fare».
Il racconto A parlare è una madre 50enne di Terni, disperata. Il figlio (che chiameremo Marco, ndR) ha 16 anni ed è affetto da seri problemi psichiatrici. Tanto che ha già dovuto vivere quasi metà della sua vita in diverse comunità terapeutiche, fra l’Umbria e l’Abruzzo. L’ultimo ricovero è stato disposto dal giudice poco meno di un anno fa e da allora la donna è riuscita a vederlo soltanto per due ore e solo grazie all’aiuto della figlia e dal genero che l’hanno condotta in Abruzzo dove ha potuto incontrare Marco, anche se per poco.
«Lasciata sola» «Il problema non è la comunità dove si trova – racconta la donna – perché lì può essergli garantito quel supporto che altrove non avrebbe. Il punto è che è stato collocato a oltre 200 chilometri da Terni e io sono disoccupata, vivo con neanche 300 euro al mese, e solo prendere il biglietto del treno mi costerebbe 80 euro. Vorrei poter stare accanto a lui, passare tempo insieme, ma non ho i soldi per poterlo fare».
«Nessun sostegno» Nel tempo la donna si è rivolta a tutti: istituzioni, assistenti sociali, associazioni: «Ma una mano l’ho avuta solo dal parroco che l’altro giorno mi ha dato 20 euro per consentire a Marco di andare in gita con i ragazzi dell’istituto dove si trova. Dagli altri, niente. Eppure il tribunale dei minori di Perugia (lo scorso novembre, ndR) quando ha mandato mio figlio in comunità, revocando l’affido a mia figlia con cui viveva, ha disposto che i servizi sociali devono dare qualsiasi supporto a Marco, regolando anche le sue relazioni con i familiari. Da allora, però, non ho ricevuto un solo aiuto. Mi sento, anzi ci sentiamo abbandonati a noi stessi».
L’appello «In passato ho anche chiesto la possibilità che venisse avvicinato a Terni ma mi è stato risposto che in Umbria comunità del genere non ce ne sono, ma io so che non è vero. Spero che qualcuno mi dia ascolto perché per me è un dramma enorme non poter vedere mio figlio e tutto ciò perché non ho i soldi per poterlo raggiungere. Le istituzioni devono aiutarmi, non solo perché è il tribunale a dirlo, ma perché non è possibile che il sistema sociale di questo Paese continui a produrre disparità e drammi come il mio. Chiedo solo un sostegno e di poter stare più vicina a Marco».