Università a Terni: «Fondazione subito»

Il senatore Gianluca Rossi: «Rilanciare l’accordo di programma, ammesso che tutti i soggetti coinvolti, Università di Perugia in testa, ne manifestino la piena volontà»

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di Gianluca Rossi
Senatore del Partito Democratico

Rispetto al dibattito che si è sviluppato intorno al destino della presenza universitaria a Terni, mi preme cercare di dare un contributo affinchè si esca da una sterile contrapposizione e si compiano scelte chiare e definitive nell’interesse esclusivo delle nostre comunità.

Ci sono due tipi di città che possono ambire a definirsi universitarie; quelle con storia, tradizione e radicamento universitario e quelle che fanno scelte selettive e coerenti con il proprio contesto economico e sociale e investono nella presenza universitaria per rafforzare il tasso di conoscenza e il proprio sistema produttivo, attraverso l’alta formazione, la ricerca e l’innovazione, pur non avendo una tradizione universitaria.

Terni e Narni senza dubbio non possono iscriversi alla prima tipologia, e tuttavia non sono classificabili a pieno titolo nella seconda.

Nel corso degli ultimi quindici anni abbiamo fatto scelte importanti con l’obiettivo di rafforzare la presenza universitaria; non riconoscerlo sarebbe ingiusto, prima di tutto intellettualmente e per questo non servono le polemiche e le divisioni di queste ore. O peggio ancora scaricare le responsabilità o dire “io l’avevo detto”.

Il sistema istituzionale pubblico ha orientato ingenti investimenti in questa direzione, decine di milioni di euro, ma ha ragione chi sostiene che abbiamo sottovalutato la portata, per esempio, di non aver voluto puntare su di un chiaro indirizzo scientifico e tecnologico della presenza universitaria nella nostra città ancorandola a quella straordinaria e peculiare vocazione produttiva che caratterizza l’area Terni – Narni.

Per esempio, si sono potute costruite certezze per la facoltà di medicina e chirurgia perché la si è, tenacemente, ancorata al destino del nostro ospedale nel processo di aziendalizzazione verso l’alta specializzazione. Non altrettanto si è riusciti a fare in altre direzioni, sapendo coniugarle da una parte alla vocazione dello sviluppo territoriale, dall’altra a nuove prospettive produttive e di innovazione.

Oggi abbiamo di fronte a noi due nodi che non possiamo eludere. Il primo riguarda “l’emergenza”, ovvero la necessità di garantire i contratti per i ricercatori nei tre corsi di economia, ingegneria e scienze dell’investigazione che altrimenti avranno un destino segnato. Si tratta di impedire che le esperienze che in questi anni si sono, dentro un quadro di profonde difficoltà, e spesso in solitudine, consolidate sul territorio, non si interrompano.

In passato tali attività di ricerca e di didattica sono state garantite dal consorzio universitario oggi, con la scomparsa di fatto di tale organismo si pone l’esigenza di dare ad esse continuità. Per questo le città di Terni e Narni richiedono un impegno esplicito dell’Università di Perugia e anche della Regione.

Il secondo nodo riguarda lo scenario di prospettiva del polo universitario, scelte strategiche in grado di orientarsi, attraverso una nuova governance verso un chiaro indirizzo scientifico e tecnologico oltre che il mantenimento di Scienze dell’investigazione. E l’apertura di una nuova fase non può che prendere il via dal rilancio dell’accordo di programma sottoscritto nel 2001 con il MIUR, ammesso che tutti i soggetti coinvolti, Università di Perugia in testa, ne manifestino la piena volontà.

Questa è la prima decisione che mi auguro vorranno intraprendere Regione e Enti locali fin dai prossimi giorni.

Al sistema universitario, anche a seguito della legge di riforma 240/2010, si chiede la capacità di promuovere un mutamento strategico ed essere fattore di sviluppo nei confronti della comunità e del tessuto economico.

Investire sul territorio di Terni e Narni non è una scelta ordinaria ma strategica con la consapevolezza che si può uscire tutti insieme dalle difficoltà che viviamo e che hanno come riflesso i dati drammatici che riguardano la disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, con un progetto innovativo per lo stesso ateneo perugino.

Il rapporto con il territorio coinvolge strategia e governance, e chiama in causa le stesse finalità delle istituzioni accademiche, troppo restie non solo a confrontarsi con l’ambiente circostante ma anche a dare conto dei propri risultati, di fronte al sistema territoriale e non solo alla comunità accademica.

Va superato un modello di gestione basato sullo “storico ed orgoglioso modello di autoreferenzialità dei dotti, senza dover rendere conto ai portatori di interessi diversi dagli stessi docenti” (Luigi Nicolais, 2012); occorre uscire dalle “torri d’avorio” e soprattutto è necessaria una nuova visione strategica in grado di creare sinergie tra i produttori e gli utilizzatori di conoscenza.

In questa direzione si muove l’Europa con l’introduzione della terza missione per l’università, che, in stretta sinergia con le due tradizionali della didattica e della ricerca, sappia promuovere integrazione con il sistema socio economico sia in termini di trasferimento di conoscenza che come attore dello sviluppo locale, in un’ottica di apertura, confronto e collaborazione con gli altri attori sociali, per promuovere sviluppo e competitività, oltre che dell’occupabilità dei laureati.

Obiettivo, quest’ultimo, non irrilevante in un’Europa che ci sfida sul terreno della formazione per competenze e abilità.

La sfida, per il polo ternano riguarda, quindi, anche la governance, che metta al centro l’accountability, cioè i risultati, e che coinvolga nella gestione non solo il mondo accademico o rappresentanti di generiche competenze, ma veri portatori di interessi socio-economici territoriali.

Per questo l’ipotesi di dar vita ad una fondazione appare non più rinviabile e la risposta più adeguata. È ovvio che per far questo ci vogliono volontà e risposte certe ad alcune domande.

L’Università di Perugia vuole essere un interlocutore all’altezza di queste ambizioni? E’ in grado di interpretare un nuovo protagonismo anche in relazione al sistema produttivo che c’è e a quello che vogliamo sviluppare, partecipando attivamente alla definizione di nuovi modelli di sviluppo? Può investire nell’eccellenza e nell’innovazione? Può, senza lesa maestà, muoversi anche nell’ottica, prevista dalla legge, della federazione di atenei per progettare queste eccellenze in relazione alle peculiarità territoriali e promuovere sinergie con altre realtà a noi vicine senza sovrapposizioni, anzi colmando alcune deficienze in essa evidenti?

Queste sono le domande che attendono risposte e che dobbiamo pretendere, senza timidezze, tutti insieme evitando di trasformare anche questo tema in un semplice e solo terreno di scontro politico senza poi trovare le giuste soluzioni o limitandoci a dichiarazioni di disponibilità di semplice facciata.

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