La tragedia risale al primo luglio 2016, lungo l’A1, a poca distanza dal casello di Orvieto: Matteo Travaglini, 20enne di Ariccia (Roma) – che da pochi giorni aveva trovato lavoro ad Arezzo e stava andando nella cittĂ toscana per iniziare una nuova vita – era alla guida di una Fiat Punto in compagnia del fratellino Samuele, 13 anni, e della mamma Anna Di Cesare, 48, quando l’auto venne tamponata da un mezzo pesante che trasportava anidride carbonica, incendiandosi. Nessuno scampo per tutti e tre gli occupanti, morti carbonizzati nel rogo, provocato per colpa – secondo gli investigatori coordinati dal pm Tullio Cicoria – di un distrazione del camionista. Ora condannato ad una pena pesante per quei fatti, ricostruiti per filo e per segno dalla polizia stradale di Orvieto, nonostante le indagini siano state inizialmente ‘depistate’.
La decisione del giudice
Quattro anni di reclusione (il pm ne aveva chiesti 6), oltre alla revoca della patente, l’inibizione dai pubblici uffici per 5 anni, è la condanna che – con rito abbreviato – il gup di Terni, Federico Bona Galvagno, ha inflitto mercoledì mattina all’uomo, un 48enne originario di Ginosa (Taranto) accusato di omicidio colposo plurimo. Disposto dal giudice anche il risarcimento dei familiari delle vittime in separata sede – 3 milioni di euro la richiesta avanzata al momento della costituzione di parte civile dal legale del marito e padre delle vittime, della nonna e degli zii paterni, l’avvocato Cosimo Gabriele Caforio -, mentre non sono state previste provvisionali. A costituirsi in giudizio anche i familiari della Di Cesare, assistiti dagli avvocati Gianfranco e Marcello Lancellotti.
Le prime indagini
Ma il 48enne non era l’unico imputato del procedimento: il gup ha infatti anche rinviato a giudizio (il processo nei suoi confronti inizierĂ il prossimo 25 novembre) uno dei testimoni e primi soccorritori dell’incidente, un carrozziere di 41 anni della provincia di Rieti, accusato di favoreggiamento nei confronti dell’autotrasportatore pugliese. I due, nei momenti successivi allo scontro, quando era ormai chiaro che per i due fratelli e la mamma non ci sarebbe stato nulla da fare, avrebbero infatti addebitato l’incidente al ragazzo alla guida della Punto, spiegando che l’auto aveva improvvisamente frenato e che quindi il camionista non era riuscito ad evitare di tamponarla. «Suo figlio ha fatto una manovra ingenua» si era sentito dire dai soccorritori l’unico superstite della famiglia Travaglini, padre e marito delle vittime, una volta arrivato ad Orvieto dalla Sicilia, dove si trovava al momento dell’incidente. Una frase che aveva aggiunto disperazione alla disperazione, ma che ben presto si è rivelata priva di fondamento.
Le altre testimonianze
Grazie alla scatola nera della Punto e alle dichiarazioni rese da altri testimoni della tragedia – che il giorno successivo si erano presentati spontaneamente alla Polstrada dopo aver letto sui giornali la prima ricostruzione – è emersa quella che gli inquirenti ritengono la realtĂ dei fatti: sarebbe stata una distrazione del camionista a provocare il tamponamento, mentre l’auto si stava fermando nella corsia di emergenza. Camionista che (assistito dagli avvocati Giuseppe Cervillo e Marcello Di Stante) mercoledì in aula ha chiesto scusa per quanto avvenuto, spiegando di «essere morto lui stesso quel giorno». Una tragedia dai tanti risvolti, dunque, ma con la quale il primo a convivere è però Travaglini, che al suo legale si è detto «deluso per l’esito del processo, aspettandosi anche un approccio diretto da parte dell’imputato, mai avvenuto fino ad oggi». L’unica ragione di vita, per lui, è ora una onlus fondata in memoria dei suoi cari: si chiama A.M.S, come le iniziali di amicizia, musica e sport, ma anche come quelle di Anna, Matteo e Samuele. Che oggi ‘rivivono’ ancora grazie alla solidarietĂ .