«A Terni l’industria è ferma al palo»

Sergio Cardinali, della Filctem Cgil invoca interventi urgenti del governo

Condividi questo articolo su

di Sergio Cardinali
del dipartimento nazionale chimico-farmaceutico della Filctem Cgil

Chiamarlo autunno caldo è un eufemismo. Il contratto chimico-farmaceutico nazionale è da rinnovare, così come quello elettrico, gas acqua, gomma plastica, energia e petrolio, e infine, quello delle lavanderie industriali, che insieme assommano quasi mezzo milione di lavoratori interessati. Tutto questo dovrà fare i conti con la situazione economica che tutti conosciamo, ma soprattutto con una confindustria combattuta tra due anime, una con la volontà di onorare il rispetto delle relazioni industriali, che tanto hanno contribuito alla crescita del paese; l’altra sensibile alle sirene del governo Renzi che spinge la stessa verso l’autosufficienza, che considera il sindacato fonte di ritardo, che punta inevitabilmente all’indebolimento del contratto nazionale.

Il parallelo di queste importantissime partite intreccia l’incerta situazione industriale umbra sospesa tra un passato pre crisi che non tornerà più ed un futuro ancora assolutamente incerto, tutto da costruire, con alcune possibilità di riuscita ma con tanti rischi, dovuti principalmente ai tanti ritardi nelle scelte e nelle decisioni che sono stati accumulati negli anni della crisi.

È’ così per la chimica ternana che aspetta ancora una risposta rispetto alle aree ex Basell. Aree che avrebbero dovuto già essere al centro di una reindustrializzazione attraverso strumenti straordinari del governo promessi da tutti nel periodo pre-elettorale e di cui oggi non sentiamo più parlare. Così come non si sente più parlare dei progetti del Cluster della Chimica Verde e delle decine di milioni da spendere su questo versante soprattutto in termini di ricerca ed innovazione.

Tolte alcune eccellenze che, guarda caso, proprio investendo su queste due voci hanno saputo agganciare la crescita nella crisi come l’Alcantara, la Bayer, e la BFit, le altre aziende, quelle ancora aperte navigano in mare aperto, ancora in balia di un mercato incerto in concorrenza con altri produttori o stabilimenti stranieri della stessa multinazionale come la Treofan.

La ricerca, un fattore localizzativo importantissimo, direi determinante, ebbene purtroppo anche questa esce dalla crisi ridimensionata vista la chiusura per fallimento dell’Isrim, tra impegni istituzionali, progetti fasulli o finiti nelle pastoie dei passaggi istituzionali.

In tutto ciò, ci si dimentica troppo spesso che, dal 2009 ad oggi, nel settore chimico ternano-narnese abbiamo “temporaneamente” perduto circa 400 posti di lavoro diretti , (100 Basell, 35 nel passaggio Meraklon-Bealieu, 70 nel passaggio Meraklon-Neofil, 50 Sgl Carbon, 30 Isrim, 30 nelle riorganizzazioni Treofan, 35 Adica).

Molti di questi lavoratori sono già fuori dalla copertura di qualsiasi ammortizzatore sociale e gli altri sono pressoché lì vicino. Non bastano gli accordi sottoscritti tra le parti (sindacati, regione e organizzazioni datoriali) per facilitare la riassunzione dei lavoratori del settore, ci vogliono progetti ed investimenti, e soprattutto ci vuole una regia che sappia guardare ad un orizzonte più lontano.

Soprattutto le lotte dei lavoratori hanno permesso una tenuta complessiva del settore limitando i danni, ma oggi senza un sostegno si rischia di nuovo di soccombere, vedi ad esempio le difficoltà “contingenti” della Neofil e della Elettrocarbonium.

Che fine ha fatto il progetto di recupero ambientale del territorio collegato alla green industry, quello che avrebbe dovuto rendere profittevoli le scorie delle lavorazioni dell’acciaieria, che avrebbe dovuto bonificare le discariche alimentando un circuito virtuoso che trasformava un problema in una opportunità? La cosiddetta industria dell’ambiente che tornerebbe sicuramente molto utile nel momento in cui la situazione ambientale ternana è sotto attacco tutti i giorni, tra terreni da bonificare, sostanze inquinanti presenti nell’aria, ruolo degli inceneritori e Piano Regionale dei rifiuti da mettere a sintesi, per recuperare ritardi sulle percentuali di raccolta differenziata, con progetti schiacciati tra la necessità di reperire risorse, ridurre i costi e migliorare la condizione di città sempre più sporche.

Purtroppo tutto ciò impatta con la volontà di un Governo che incentiva la privatizzazione di aziende pubbliche, attraverso bonus da poter spendere fuori dal patto di stabilità, che fa stropicciare gli occhi ad amministratori alla ricerca continua di risorse economiche per fare quadrare bilanci comunali. Tutto ciò condurrà inevitabilmente alla cessione di quote di aziende pubbliche come l’Asm che continua a riversare risorse economiche ogni anno nelle casse dell’azionista unico (Comune di Terni). Un’azienda che ha sempre garantito servizi ed occupazione di qualità, e spesso ha dovuto anche fungere da banca agli stessi servizi che forniva nei confronti dei comuni o delle società consortili che man mano sono venute avanti nei processi di liberalizzazione delle attività nei settori dei servizi a rete. Sarebbe eventualmente auspicabile che i ricavati, siano investiti per salvaguardare l’azienda nel complesso e per ammodernare le reti, che scontano anni di mancati investimenti a causa delle difficoltà finanziarie.

Liberalizzazioni e privatizzazioni mal gestite, che ancora oggi presentano i conti inevitabili come la cessione delle centrali idroelettriche dell’asta Nera Velino, attraverso il Decreto Bersani del 1999, che le vede imbrigliate nell’ennesima cessione, adesso da parte della tedesca Eon, attraverso uno spezzatino che divide in due il personale tra la società Ceca EPH e l’italiana ERG e che apre una fase inedita con il rischio di depauperare un patrimonio di Terni, dell’Umbria e dell’Italia intera. Una partita che richiama ancora in causa il Governo ed aziende come Eni ed Enel, che dovrebbero ora più che mai accompagnare la crescita di un paese in difficoltà, che arranca e non ce la fa.

Altre partite ancora come Pietrafitta e Bastardo, del presidio territoriale sulla distribuzione elettrica, sono occasioni per le istituzioni locali per richiamare alla giusta responsabilità un’azienda che ha acquisito, in ragione di una pubblicizzazione del settore elettrico avvenuta con una legge dello Stato del 1962, impianti frutto di intelligenze e volontà territoriali.

E’, insomma, assolutamente necessario che il territorio umbro, attraverso i suoi organismi regionali e locali prenda decisioni, difficili, anche drastiche, attui delle scelte e si impegni a conseguire risultati. È altrettanto necessaria una opposizione politica che non si limiti alla denuncia ma abbia il coraggio di misurarsi sulle scelte e sulle proposte che devono essere il più possibile condivise con i cittadini. È in gioco il futuro dell’Umbria, del suo territorio e delle sue splendide città.

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli