Covid, il lockdown a São Paulo di un ingegnere ternano

Il 34enne Giulio Caneponi è in Brasile da inizio marzo: «In questa condizione da quando sono arrivato. In attesa di un po’ di libertà»

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di S.F.

C’è chi ha preso un volo per il Brasile per andare a trovare gli zii ed è rimasta bloccata a causa del covid-19, come è accaduto alla giovane Brigitte Belli, e chi ha deciso di trasferirsi nel Paese più grande del Sudamerica per una scelta lavorativa. C’è una città in comune nelle due storie, São Paulo: è qui che sta vivendo da inizio marzo Giulio Caneponi, 34enne ingegnere di Terni alle dipendenze di una multinazionale, anche lui alle prese con la necessità di adeguarsi alla nuova vita ‘dettata’ dalla pandemia. In un contesto – in Italia sappiamo bene – dove lo scontro tra i governatori degli Stati e il presidente Jair Bolsonaro sono all’ordine del giorno.

L’ODISSEA DELLA TERNANA BRIGITTE BELLI DOPO IL VIAGGIO IN BRASILE

Giulio Caneponi a Campos do Jordão in un viaggio 2019

Dall’Italia al Brasile durante il covid-19

Non è la prima esperienza per Giulio in Brasile. Ci era già stato per un progetto, poi la permanenza in Italia da ottobre a marzo, la promozione da parte dell’azienda e la decisione di partire: impossibile rifiutare un’opportunità del genere in una metropoli sviluppata come São Paulo. In terra sudamericana giunge due mesi fa, domenica 8, pochi giorni prima che il governo italiano decretasse il lockdown esteso a tutta la penisola: «Avevo già iniziato a lavorare in modalità smart working a Roma. Quando sono arrivato all’aeroporto di Guarulhos ho visto la poca attenzione nel rispetto delle regole: le mascherine le portavano, ma nessun controllo e molti assembramenti. L’azienda mi ha imposto la quarantena per un lungo periodo: la sto vivendo in un appartamento nel comune di Barueri, ben distante dal centro. Di fatto sono in questa condizione da quando ho messo piede in Brasile: esco solo per fare la spesa e acquistare cose necessarie».

SPECIALE CORONAVIRUS – UMBRIAON

A São Paulo

Le chiusure ed i guai. I controlli

Il covid-19 ha creato un ostacolo temporaneo: «Finché non si sblocca la polizia federale e il consolato italiano è un problema perché non posso registrarmi sui loro sistemi nazionali per avere una sorta di cittadinanza temporanea. Per loro dal 13 marzo è tutto congelato». Si legge ormai da settimane a livello internazionale di come Bolsonaro minimizzi con costanza il coronavirus, mentre più di un governatore ha contestato la superficialità del presidente nel trattare l’emergenza. Tra loro c’è João Doria, leader dello Stato di São Paulo: «Lui ha un comportamento – commenta Giulio – simile al premier Giuseppe Conte, però è meno restrittivo. Qui è chiuso tutto tranne supermercati, negozi di prima necessità e farmacie; la cosa differente rispetto all’Italia è che i controlli non sono così fiscali, almeno da quello che ho potuto constatare. Se ti ferma la polizia e non si indossa la mascherina non c’è lo scrupolo nel fermarti e magari farti la multa; in teoria da pochi giorni è obbligatoria anche quando si passeggia per strada. Il lockdown – aggiunge – tuttavia sarà esteso in questa zona perché il 50% dei residenti non ha rispettato bene le regole per la quarantena». Breve accenno ai numeri locali: «La parte centrale di São Paulo – secondo quanto riscontrato nel portale ufficiale dello Stato – ha circa 12 milioni di abitanti, l’intera area statale ne conta 44 con un totale di 645 municipi e 70 nazionalità diverse. I contagiati sono stati 41.830 finora ed i decessi 3.416. La percentuale è molto bassa in definitiva. Molti pensano che avendo tanti problemi sociali, il coronavirus sia solo una piccola parte negativa del contesto generale. Sono abituati ad avere a che fare con malattie di rilievo e quindi non gli danno la stessa importanza rispetto ad altri Paesi».

A Rio de Janeiro

La sanità e la considerazione sull’Italia

Giulio paragona il Brasile agli Stati Uniti quando parla del mondo sanitario: «La situazione è molto diversa rispetto all’Italia. Qui gli ospedali ad alto livello che funzionano sono privati e il tampone lo paghi se vuoi farlo, e anche tanto. Ovvio che non ci sia la possibilità per tutti, non c’è un controllo così attento. Inoltre un numero rilevante di persone vive nelle comunidades (più note come favelas, ndr), sono povere ed è chiaro che in quel contesto è difficile agire. Da noi invece c’è il servizio pubblico e le strutture di questo tipo lavorano più o meno bene. Danno la possibilità anche ai meno abbienti di potersi curare». È a questo punto che arriva una riflessione più generale: «Quando viaggi spesso ti manca l’Italia, sempre di più. Siamo abituati a lamentarci di tutto, poi quando conosci bene le circostanze capisci che sei molto fortunato ad essere in quella realtà». La scelta di spostarsi in Sudamerica è motivata dal puro aspetto lavorativo: «Era un’occasione di crescita professionale e una nuova esperienza di vita. In questo modo ci si mette in gioco, riesci ad avere una visione più aperta del mondo. Ti migliora».

L’attesa per la libertà

Servirà pazienza per visitare zone del Brasile che aveva intenzione di esplorare nei weekend: «In generale penso che dove sono io la quarantena si possa gestire bene. In questa parte di São Paulo non si respira aria di insicurezza come altrove». Si pensa anche all’immediato futuro: «Resto in attesa di avere un po’ di libertà per fare i giri che mi piacciono insieme alla mia compagna. Terni? In questa situazione è difficile fare previsioni su quando potrò rientrare. Per me è normale vivere in contesti internazionali, sono abituato e sono flessibile a vivere in altri contesti. L’unica preoccupazione è non sapere quando potrò rientrare per poter riabbracciare i miei familiari». La realtà ora si chiama São Paulo: una quarantena tra smart working, caipirinha, samba ‘casalinga’ e speranza di poter viaggiare di nuovo: «Serve anche a dare un po’ di allegria in questo momento che ci priva delle nostre abitudini». Con l’auspicio di poter riprendere in mano quella sensazione di libertà che lo ha sempre accompagnato.

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