Oltre sei ore di interrogatorio per professare la propria innocenza rispetto all’accusa che lo ha fatto finire in carcere lo scorso 30 marzo. Quella di aver ucciso, con la complicità del fratello Maurizio, la moglie Barbara Corvi, sparita il 27 ottobre del 2009 da Montecampano (Amelia), quando aveva 35 anni, e mai più ritrovata. Il 49enne Roberto Lo Giudice, recluso nel carcere di vocabolo Sabbione su decisione del gip di Terni, è stato sentito giovedì dal procuratore Alberto Liguori nel contesto dell’interrogatorio chiesto dallo stesso indagato, su cui pendono le accuse di omicidio premeditato e occultamento/soppressione di cadavere. Accanto a Lo Giudice, i suoi legali difensori – Giorgio Colangeli e Cristiano Conte – con il procuratore di Terni collegato da remoto. Tanti i concetti espressi nella propria ricostruzione dal 49enne di origini calabresi, tutti orientati ad affermare la propria estraneità da un delitto che, invece, per gli inquirenti ha più di un responsabile. Una lettura dei fatti basata su testimonianze – anche di tre collaboratori di giustizia – e ricostruzioni tanto indiziarie quanto convergenti. Le dichiarazioni verbalizzate martedì verranno ora utilizzate dall’autorità giudiziaria nel contesto dell’inchiesta che vede anche il fratello di Roberto Lo Giudice indagato, a piede libero, per gli stessi reati. Intanto martedì prossimo il ‘braccio di ferro’ giudiziario vivrà un’altra tappa, quella rappresentata dal ricorso al tribunale del Riesame di Perugia che i legali del 49enne hanno depositato per ottenere una revisione, in senso meno restrittivo, della misura applicata dal gip Tordelli. L’indagine del procuratore Liguori, condotta insieme all’Arma di Terni, ha riacceso – dopo l’archiviazione datata 2015 – le luci della giustizia su una vicenda segnata da depistaggi, ombre che conducono fino in terra calabra ed una generale omertà. In un doppio filo che la lega all’omicidio della cognata di Barbara, quella Angela Costantino – moglie di uno dei fratelli di Roberto Lo Giudice – scomparsa da Reggio Calabria nel 1994, ‘rea’ di aver tradito il marito e la cui morte è stata seguita da due condanne, definitive, a 30 anni di reclusione.
Amelia, quella finta denuncia per infamare i familiari di Barbara
La svolta: «’Codice d’onore’ e soldi dietro l’omicidio di Barbara»