Nuovi poveri: «Umbria come il Mezzogiorno»

Mancanza di lavoro, problemi economici e stranieri in difficoltà. I dati sulla povertà nel secondo rapporto redatto dalla Caritas

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Nomi, numeri ma anche storie e volti. Come quelli che si sono incrociati, lo scorso anno, nei centri di ascolto della Caritas diocesana e che raccontano di un mondo pressappoco sommerso, fatto di privazioni materiali, solitudine, disagio ed emarginazione, assenza del lavoro e problemi familiari. I numeri tracciano un quadro ben preciso, come quello che emerge dal secondo rapporto sulla povertà in Umbria realizzato dall’ arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve e curato dall’Osservatorio della Caritas diocesana.

In Italia A livello nazionale si parla di circa 1 milione e 582 mila famiglie in condizioni di povertà assoluta, a cui corrispondono 4 milioni e 598 mila individui, il numero più alto dal 2005. In condizione di povertà relativa, si stima invece un numero di famiglie pari a 2 milioni 678 mila, il 10,4% delle famiglie residenti, cui corrispondono 8 milioni 307 mila individui. Per l’Umbria l’ultimo dato disponibile  sull’incidenza delle famiglie in povertà relativa riguarda il 2014 ed è dell’8%. I recenti dati Istat sulle condizioni di vita e di reddito in Italia nel 2015 evidenziano come quasi un terzo (28,7%) delle persone residenti in Italia sono a rischio di povertà o esclusione sociale, nel senso che sperimentano almeno una delle seguenti condizioni: rischio di povertà (reddito familiare inferiore al 60% del reddito mediano), grave deprivazione materiale, bassa intensità di lavoro.

Gli utenti dei centri d’ascolto negli anni 2014-2015-2016

E in Umbria il trend è molto simile a quello nazionale. «Purtroppo – si legge nel dossier-  se confrontati con quelli relativi alle regioni vicine come Toscana, Marche ed Emilia Romagna, i livelli di difficoltà umbri risultano per lo più superiori. Si delinea in tal modo un allontanamento dell’Umbria dalle regioni dell’italia centrale e un avvicinamento ad alcune di quelle del Mezzogiorno». I dati raccolti dalla Caritas riguardano più di mille persone, quelle che, nel 2016 si sono recate negli oltre 17 centri d’ascolto dislocati sul territorio della diocesi per chiedere un aiuto concreto. E, numeri alla mano, l’aumento delle richieste è impressionante: se nel 2014 erano 77 le persone che si erano rivolte al centro di ascolto diocesano, nel 2016 sono state 1.071.

Dati in aumento L’aumento riguarda sostanzialmente la componente straniera, che sale al 70% del totale, mentre quella italiana scende al 26%. Prevale in modo netto la componente femminile (56%) mentre con riferimento alla nazionalità degli stranieri, nel 2016 la prima posizione continua ad essere occupata dal Marocco, mentre in seconda troviamo l’Ecuador, che registra un fortissimo aumento (presenza più che triplicata), in terza la Nigeria, seguita dall’Albania. La maggiore concentrazione di richiedenti aiuto si trova nella classe di età 35‐44, seguita dalla 45‐54 e dalla 25‐34; gli italiani si addensano maggiormente nelle classi più anziane, gli stranieri invece in quelle più giovani e produttive. «Questi dati ci fanno capire l’impegno che potrebbe essere richiesto ai centri per l’impiego per favorire l’inserimento lavorativo dei richiedenti aiuto».

In famiglia Con riguardo allo stato civile, l’analisi dei dati indica anche nel 2016 l’assoluta prevalenza dei coniugati/e (60%), con un peso doppio rispetto a celibi/nubili; ciò vale soprattutto per gli stranieri, e suggerisce l’aiuto che la rete familiare può assicurare alla persona in difficoltà, ma anche le criticità e i problemi specifici che possono derivarne. In linea con questa indicazione, il riferimento al nucleo di convivenza pone in rilievo la più elevata incidenza di quelli che vivono in un nucleo familiare (superiore al 77%). Questo riguarda molto meno gli italiani, che per più di un terzo vivono da soli. La condizione abitativa anche nel 2016 mostra lo schiacciante prevalere dell’uso di casa in affitto da privati (74%), pari a dieci volte l’incidenza della casa in affitto da ente pubblico; la situazione risulta complessivamente più favorevole per gli italiani, provvisti, per più del 10%, di casa di proprietà (di contro a un dato nullo per gli stranieri), ma al contempo, per il 15%, privi di abitazione.

I problemi occupazionali

Istruzione Per il livello di istruzione, pur in presenza di una marcata scarsità di indicazioni, sembra potersi ritenere una forte prevalenza dei titoli di rango inferiore: licenza elementare e licenza media inferiore riguarderebbero il 63.1%, con quote molto basse di diploma professionale e di laurea. «È questo un dato che non induce ad ottimismo sulla possibilità di sbocchi occupazionali positivi. Le difficoltà in tema di lavoro si mostrano appieno analizzando la condizione professionale dei richiedenti aiuto». Si delinea infatti una schiacciante prevalenza (quasi l’80%) di disoccupati in cerca di prima o nuova occupazione, che colpisce maggiormente gli stranieri, e i maschi rispetto alle femmine mentre gli italiani mostrano un peso superiore di pensionati e di inabili al lavoro. Tutto questo si traduce in una molteplicità di bisogni segnalati dai richiedenti aiuto, con un aumento molto forte delle criticità dichiarate sui vari fronti.

I bisogni Ai primi posti troviamo i bisogni di occupazione e lavoro, e quelli economici, seguiti dai problemi abitativi, familiari e connessi all’immigrazione. Le esigenze di occupazione e lavoro risultano maggiormente avvertite dagli stranieri, e quelle economiche invece dagli italiani, che segnalano con maggiore intensità anche problemi abitativi, dipendenze, problemi familiari, problemi di salute. Oltre che ai servizi per l’impiego, dal momento che circa i tre quarti di questo mondo ‘sommerso’ è disoccupato, solo l’11% ha un lavoro, il 4,8% è in pensione mentre il 3% è inabile al lavoro, si manifesta la necessità di poter accedere a tutto l’ampio ventaglio dei servizi sociali e sanitar per i quali si pongono, come già rilevato nel precedente rapporto, problemi di dotazione, conoscenza, accesso e fruibilità. 

Il supporto Dal canto suo, la Caritas, mette in campo interventi che, per circa un terzo dei casi, si declina come semplice ascolto e preparazione progettuale. A seguire l’erogazione di sussidi economici (26.2%), concessi nella quasi totalità per il pagamento di bollette e tasse, e in minima parte per spese sanitarie. In terza posizione (16.4%) troviamo l’erogazione di beni e servizi materiali, compiuta principalmente attraverso il ricorso agli empori e market solidali, e in piccola misura con servizi di mensa. Si rilevano quindi servizi di consulenza professionale (6.3%) e servizi sanitari (nelle tipologie di farmaci ed altro). Considerando il complesso degli interventi compiuti (4.274) e dividendo per il numero degli utenti (1.071), si ottiene una misura dell’intensità degli interventi: 3,99 tipologie di interventi per ciascun utente.

Misure urgenti Se i dati fotografano una realtà sempre più allarmante, lascia ben sperare l’approvazione della legge delega per il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale che prevede l’erogazione alle famiglie in povertà di un sostegno monetario e insieme di un pacchetto personalizzato di servizi per favorire l’uscita dalla condizione di dipendenza.  Perché, come ha detto di recente Papa Francesco, «la mancanza di lavoro è più drammatica della mancanza di un reddito». Per questo è importante tenere traccia degli interventi e dei bisogni di chi chiede aiuto «ma anche di rendere sempre meno invisibili – come afferma il presidente della Caritas di Perugia Giancarlo Pecetti – coloro che bussano, e che per la Caritas non sono solo numeri ma volti, storie di vita da accompagnare».

 

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