Pazienti Covid: «Tante incognite, serve formazione»

Il coronavirus quali conseguenze lascerà sui pazienti ventilati? In attesa di capirlo con il follow up, serve un impegno a 360 gradi

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di Monica Tocchi – Cardiologa, fondatrice di Meditrial
e Paolo Tosi – Rianimatore ‘Humanitas’ Rozzano

Nella pandemia Covid è emersa la assoluta criticità della gestione ventilatoria dei pazienti Covid. Questi pazienti hanno livelli di ossigeno estremamente bassi, a volte anche senza avere assolutamente sintomi, un quadro mai osservato prima dagli specialisti in pneumologia o in terapia intensiva. In secondo luogo, quando le condizioni cliniche si aggravano, ciò accade molto rapidamente. Il malato potrebbe essere stabile per diverse ore, e poi – all’improvviso – sviluppare una crisi acuta, ansimando per respirare con livelli di ossigeno e pressione sanguigna in caduta libera.

Circa il 90% dei pazienti Covid che giungono in ospedale, hanno bisogno di un supporto ventilatorio. Ma gli studi dimostrano un’ampia forchetta di mortalità in diversi paesi. Nella regione Italiana più colpita, la Lombardia, la mortalità tra i pazienti ventilati è risultata di 1 su 4 (26%), mentre a New York, la mortalità ha superato il 90%.

SPECIALE CORONAVIRUS – UMBRIAON

Diversi fattori concorrono all’esito finale e al risultato della cura negli stadi più gravi della malattia, che richiede l’efficace interazione e l’armonia di tre elementi: il medico rianimatore, la disponibilità del posto di terapia intensiva e la conoscenza delle migliori modalità di ventilazione da erogare con le necessarie apparecchiature. Nelle crisi Covid, ognuna di queste componenti è venuta a mancare.

  • Il personale sanitario che erogato le cure non sempre aveva l’esperienza clinica e lavorativa nel trattare l’insufficienza respiratoria acuta. In Italia gli anestesisti sono circa 20 mila, ma non tutti si occupano di rianimazione. Il rianimatore usualmente tratta pazienti sottoposti a lunghi interventi cardio-chirurgici o con problemi respiratori cronici o indotti da traumi acuti: anche questi specialisti, pertanto, hanno dovuto fronteggiare la situazione di emergenza, trovandosi a trattare in una stessa giornata un elevatissimo numero di casi. Per far fronte alla carenza di personale sanitario, è stato necessario coinvolgere anche medici di pronto soccorso e della medicina d’urgenza, affidandosi a linee guida locali e quelle ufficiali per la Ards, che l’esperienza ha dimostrato essere solo parzialmente efficaci nel Covid, come descritto di seguito. Inoltre nell’emergenza si è probabilmente sottovalutata l’importanza della formazione degli operatori che è stata affidata alla buona volontà dei rianimatori più esperti verso i loro colleghi. L’esperienza è stata acquisita sul campo, apprendendo giorno dopo giorno come curare i pazienti.
  • I posti in terapia intensiva e i ventilatori sono risultati enormemente carenti sia nelle strutture pubbliche che private, richiedendo misure straordinarie in termini di trasformazione di aree non destinate a terapia intensiva e altre iniziative anche per la fornitura dei ventilatori, oggetto del Decreto Cura Italia.
  • Le modalità di ventilazione applicate precedentemente per la sindrome del distress respiratorio acuto (Ards), si sono rivelante non completamente efficaci. Ogni paziente reagisce in modo diverso rispetto al virus e dobbiamo trattare ogni paziente in modo diverso. Ciò che funziona per uno, potrebbe non funzionare per un altro e questo è diverso da quello a cui siamo abituati. È stato necessario che tutti gli esperti si confrontassero, sulla base dell’esperienza nuova acquisita nei tre mesi successivi l’esplosione dell’epidemia in Europa, per riuscire a comprendere come meglio trattare questi pazienti. Tali nuovi apprendimenti scientifici convogliati nelle nuove linee guida europee, appena pubblicate, mettono in evidenza la necessità di nuovi termini e nuove strategie che devono andare obbligatoriamente di pari passo con il grado di evoluzione della malattia.

Il 24 aprile è stato pubblicato un articolo in JAMA dal professor Luciano Gattinoni (professore di anestesia in Germania), il grande saggio della ventilazione per Ards, scritto con John J. Marini, autore del principale testo mondiale sulla rianimazione. Con poche e semplici parole vengono indicate le migliori strategie per gestire questi pazienti.

Gli specialisti come la dottoressa Tocchi e il dottor Tosi sottolineano l’urgenza della formazione: ‘È fondamentale recepire in tutto il mondo queste indicazioni sulla migliore gestione dell’insufficienza respiratoria nel Covid-19, attraverso immediati programmi di training di tutti i medici di pronto soccorso, anestesisti e rianimatori, in attesa di nuove linee guida specifiche per questa patologia’.

L’ottimizzazione della ventilazione è critica non solo per superare la fase acuta, ma anche per il recupero successivo. Dobbiamo infatti considerare che il Covid non solo può essere letale, ma anche laddove si riesca a superare la crisi, può produrre esiti cronici e potenziale invalidità il cui impatto non è stato ancora discusso e portato alla luce nel mondo scientifico e merita un importante approfondimento, anche e soprattutto predisponendo degli approfonditi studi di follow-up dei pazienti.

Dato l’enorme numero dei pazienti ‘guariti’, sarà basilare comprendere gli esiti a lungo termine della patologia Covid. In Italia, quasi il 90% di questi pazienti sono stati soggetti a ventilazione meccanica. Il dopo-Covid può essere associato a delle invalidità di cui nessuno ha fatto menzione. Quando il paziente viene ventilato, è necessario mantenerlo in anestesia generale (sedazione profonda con uso di sostanze miorilassanti) e questa terapia perdura per 10-15 giorni a seconda della gravità del paziente.

Tornando a casa, i pazienti riportano diverse problematiche e compromissione della propria salute. Oltre alle probabili conseguenze dirette del virus (fibrosi polmonare, e altre possibili conseguenze sistemiche ancora non note), sussiste la possibilità di sviluppare altre patologie durante il periodo della malattia Covid, come infezioni batteriche o conseguenze legate alle terapie farmacologiche. Vi sono inoltre i corollari a breve e medio termine legati al lungo periodo di sedazione e curarizzazione dei pazienti, nonché le possibilità di problematiche secondarie al danno di organi quali cuore, rene e sistema nervoso, legati al lungo periodo di ipossia che i pazienti hanno subito. Come si gestirà questa problematica? Quali sono le cure per ridurre l’impatto cronico? Chi pagherà? Le domande sono moltissime e le risposte necessitano di importanti risorse per la ricerca e l’assistenza.

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