Perugia, ecco le verità di Roberto Goretti

Ospite in tv, il direttore dell’area tecnica fa tante rivelazioni: su Breda, sui possibili sostituti, sulla crisi di ottobre e sul mercato

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Una ospitata nella tv ufficiale del Perugia si è trasformata in una confessione a cuore aperto, nel corso della quale Roberto Goretti ha detto tante cose interessanti – quello che gli piace, quello che non gli piace, i retroscena di mercato, le sue idee sul Perugia – con inattesa sincerità, senza mascherarsi dietro le consuete ipocrisie da studio televisivo. Di seguito un breve blob delle dichiarazioni più interessanti ascoltate ieri a ‘Fuori Campo’ su Umbria Tv.

Roberto Breda

Breda sì, Breda no Senza nascondersi dietro un dito, Goretti conferma che il tecnico è stato sul punto di essere esonerato. Due volte. L’ultima dopo la sconfitta con il Cittadella, ma prima ancora, e in modo molto più forte, alla fine del girone d’andata, dopo la sconfitta casalinga contro l’Empoli e alla vigilia di un mercato che, inevitabilmente, doveva tener conto anche dell’allenatore. «A fine dicembre ci abbiamo pensato – ammette Goretti – ma abbiamo tenuto in considerazione il fatto che la squadra, nonostante le sconfitte, sembrava adeguarsi sempre meglio allo stile dell’allenatore così come la tenuta fisica sembrava in netto miglioramento, pertanto abbiamo ritenuto opportuno proseguire con lui, facendo un mercato per accontentare il suo credo tattico, che non è il mio. Poi, dopo due partite vinte ma giocate male e dopo una brutta sconfitta col Cittadella la discussione si è ripresentata, ma non ce la siamo sentita di distruggere in cinque minuti ciò che abbiamo costruito in questi mesi, soprattutto alla luce di un mercato condotto in un certo modo. Ovvio che, come tutti, il tecnico resta sotto esame».

La scelta per il post Giunti «Non è un mistero – ammette Goretti – che con l’esonero di Giunti avevamo in mente diversi nomi. Io pensavo a un profilo che avesse uno stile e una mentalità simile alla sua, quindi ho subito contattato Oddo e De Zerbi, ma erano entrambi in attesa di una chiamata dalla serie A, come poi è stato. Alla fine, abbiamo stilato una rosa di tre nomi: Cosmi, Stellone e Breda. Abbiamo fatto una serie di valutazioni, soppesando non solo il tecnico ma anche il suo staff, e la nostra scelta è ricaduta su Breda. Tutte le cose lette su Cosmi (il presunto timore di Santopadre di sentirsi offuscato da un ‘grifone doc’; ndr) sono assurde perché il presidente era stato a cena con Cosmi appena due settimane prima e ne aveva un’ottima opinione. Decisiva è stata la riflessione sul preparatore atletico che ci sembrava poco esperto per la B e siccome la squadra era in difficoltà da quale punto di vista lo abbiamo escluso. Con Stellone sono amico, lo sanno tutti, mi piace come tecnico. Non è vero che il problema è stato economico anche perché poi quando si spende di più per il tecnico basta spendere di meno per i giocatori e il problema non c’è. A Perugia il tecnico lo sceglie Santopadre, in accordo con i dirigenti, e la sua scelta è stata Breda».

Cambio di filosofia sul mercato «Per la prima volta da quando faccio questo lavoro, in estate avevo allestito una rosa con tanti uomini in avanti. Devo ammettere che è stato un errore. Perché un giocatore forte quando non gioca si demoralizza. Giunti ci aveva chiesto due cose: un regista e un trequartista. Per il regista avevamo trattative parallele con Bianco e Colombatto che, dopo settimane di stallo, si sono sbloccate contemporaneamente nel giro di un’ora. Per non venir meno alla parola data li abbiamo presi entrambi, creando un dualismo anomalo, considerando la possibilità di impiegare Bianco anche come mezzala. Come trequartista abbiamo preso il migliore: Falco sono andato a vederlo a Bologna e ho avuto subito la sensazione che potesse stare in questa squadra, ma ho sottovalutato un aspetto fondamentale e cioè la sua delusione per il fatto di aver conquistato la serie A e non poterla giocare. Poi, arrivato qui, ha dovuto recuperare la condizione e nel frattempo è esploso Buonaiuto. Così il ragazzo si è demoralizzato e le ultime esclusioni sono state decisive per la scelta di andar via. A gennaio poi, c’è stata una nuova rivoluzione: l’obiettivo era aumentare il livello di esperienza della rosa, soprattutto in difesa, e penso che ci siamo riusciti».

Alberto Dossena

Dossena, Di Nolfo, Monaco, Han «Con Dossena non è successo nulla di particolare. Mi spiace siano venute fuori polemiche, ma la dinamica è molto semplice: l’Atalanta era preoccupata perché lo vedeva giocare poco e ha insistito perché andasse via, anche in C, purché giocasse un po’ di più. Il ragazzo comunque dovrebbe farmi una statua perché quando l’ho portato a Perugia non era nemmeno titolare nelle giovanili: mi trovai per caso a vedere una sua partita e mi piacque. Poi, i post dei genitori preferisco non commentarli. Su Di Nolfo noi avevamo puntato, ma il ragazzo ci ha fatto sapere di voler lasciare il calcio e tornare a casa per motivi personali, così lo abbiamo accontentato. Monaco aveva bisogno di disintossicarsi dall’ambiente perugino. È un prestito con diritto di riscatto: se la Salernitana eserciterà l’opzione ci ritroveremo con un’altra bella plusvalenza, viceversa riabbracceremo un calciatore con nuove motivazioni. Il ritorno di Han a Cagliari è stata la definitiva conferma del nostro cambio di approccio tattico».

L’ottobre nero «A metà del secondo tempo di Brescia-Perugia eravamo primi in classifica per distacco. Poi abbiamo subito gol e lì è venuta fuori l’immaturità della squadra che, anziché accontentarsi di un buon punto a Brescia, si è riversata in avanti alla ricerca della vittoria, prendendo il secondo gol. A quel punto qualcosa si è rotto, ma non è vero che ci sia stato uno scontro negli spogliatoi col presidente. Semplicemente, gli episodi sono girati male e siamo precipitati nel baratro. Alla crisi tecnica si è unita quella ambientale, fino ai fatti post Spezia e all’esonero. Uno shock da cui non ci siamo ancora ripresi. Poi, altre voci che toccano la sfera personale mi rifiuti di commentarle».

Senatori deludenti «In quelle cinque maledette partite, fra le altre cose, sono venuti meno i senatori (e fa i nomi: Rosati, Del Prete, Volta, Belmonte, Di Carmine) da cui mi aspettavo molto di più, in campo e fuori. Siamo stati penalizzati non dal gioco ma da un numero incredibile di errori da parte dei singoli, quelli da cui invece mi aspettavo di più». Fra le delusioni, Goretti non cita Brighi: glielo facciamo notare. «Matteo è un grande uomo e un grande calciatore, quando l’ho preso ero felice come un bambino e in questo anno e mezzo ha dato più di quanto mi aspettassi. Purtroppo, il suo infortunio è stato fra gli episodi negativi di questo campionato, dopodiché non ha più trovato spazio ed è scivolato indietro nelle gerarchie. Abbiamo parlato e si è arrivati alla decisione di rescindere, ma vi posso assicurare che lui non sapeva della opzione Empoli, che si è materializzata solo dopo la separazione col Perugia».

Massacrati dagli arbitri A precisa domanda, Goretti – che non ne parla mai – si lascia andare anche sugli arbitri: «Nel girone di andata ci hanno ammazzato. E non lo dico io, lo hanno detto loro nelle riunioni che facciamo periodicamente. Dopo ogni errore abbiamo ricevuto le scuse, che pero non danno punti.  Ricordo i due rigori assurdi di Palermo e Cremona, i fuorigioco, i rigori dati ai nostri avversari nelle prime partite. Fino all’ultima gara. Nelle sfide in bilico, gli episodi decisivi sono andati sempre a nostro sfavore. E questo è stato uno degli aspetti che ha contribuito a farci precipitare ulteriormente in quel periodo nero. Sarebbe bastato fare 3-4 punti in quelle 5 partite maledette e poi ci saremmo risollevati da soli. Certo anche i giocatori però ci hanno messo del loro: non è possibile che uno esperto come Belmonte mandi a ‘fanculo’ (dice proprio così; ndr) per due volte l’arbitro. È normale che ti cacci».

I sassi e i Daspo «Quella situazione è stata dolorosa. E sono convinto che un po’ tutti abbiano esagerato nei giudizi. Sono convinto che quello che è successo non abbia a che vedere con i tifosi del Perugia. Loro ci aspettavano davanti allo stadio, i sassi sono arrivati prima, sulla salita del ‘Capitini’, lanciati probabilmente da persone che col mondo ultras nulla hanno a che vedere. Poi sono arrivati i Daspo e la situazione si è incancrenita. Spero che si risolva presto e già vedo un’aria diversa al Curi. I tifosi ci sostengono, tifano per la maglia, e questo è importante. Spero che le incomprensioni si chiariscano».

Con Comotto un (suo) malinteso «Mi dispiace che sia finita così ma i rapporti erano chiari. Lui aveva un ruolo di congiunzione tra allenatore e società. Non era suo compito decidere di giocatori e rose, anche perché il mio modo di di vedere era molto diverso dal suo e alla fine io sono uno che decide con la sua testa. Evidentemente questa separazione di ruoli non era chiara. Adesso comunque abbiamo un buon rapporto».

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