Shopping, turismo, eventi, vita notturna… quale vocazione per il centro di Perugia?

Dopo la notizia della chiusura di Andrei, infiamma il dibattito sul salotto buono dell’acropoli

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di Pietro Cuccaro

Quella sul centro storico di Perugia ormai è diventata una litania, che si fa fatica anche a sentirsi ripetere, ma che torna inevitabilmente d’attualità ogniqualvolta emerge – con tanto di eco mediatica – la notizia della chiusura di un negozio storico o della riapertura di un altro, come accade in questi giorni.

IN CORSO VANNUCCI ANDREI CHIUDE E SANDRI RIAPRE

La storia la conosciamo bene.

Prima l’abbandono, negli anni, dei residenti storici e la trasformazione del centro in un dormitorio per universitari (tante le case di proprietà in affitto agli studenti da parte di residenti che si sono trasferiti in periferia), con poche abitazioni, tanti uffici e locali commerciali. Così, il centro veniva popolato di giorno da turisti e dai perugini dell’hinterland, per le tradizionali ‘vasche’ lungo corso Vannucci; di notte dagli studenti, per il giro dei locali.

Poi l’arrivo della crisi che invade l’Italia e che – insieme al caso Meredith – priva il centro di Perugia di molti studenti per circa un decennio, inceppando il meccanismo economico che si era creato e bloccando la catena di trasmissione dei soldi dagli affitti del centro ai mutui della periferia.

Ora la crisi sta rientrando, le immatricolazioni ricominciano a crescere, ma nel frattempo è cambiato il mondo, sono cambiati i consumi ed è cambiata la sensibilità sociale e politica prevalente, oltre ad essere cambiato il colore dell’amministrazione comunale.

Ma non è cambiato lo spirito dell’Umbria dai cento campanili, capace di rinchiudersi nel proprio particulare, città contro città, centro storico contro periferia, rione contro rione, via contro via.

Divisione geografica ma anche trasversale, per argomenti. E allora, tanto per restare al capoluogo, nel breve volgere di qualche decennio, si è passati dal dibattito sulle scale mobili nella Rocca Paolina a quello sul Minimetrò, dai parcheggi alla ztl, fino ad arrivare al nodino, con i social che fanno da casa di risonanza e amplificano il tutto, esacerbando il clima, radicalizzando lo scontro anziché favorire il confronto dialettico. E così, nel dibattito, si rimane su tesi e antitesi, senza mai arrivare ad una sintesi.

E così non sono cambiati nemmeno i dibattiti sulla vocazione del centro.

Da un lato c’è chi lo vorrebbe come il ‘salotto buono’ della città, senza auto e senza studenti, ad esclusiva vocazione turistica. Dall’altro chi invece fa notare che senza traffico (anche veicolare) e senza movimento notturno le attività non vivono.

C’è poi la questione ‘grandi eventi’, con le continue polemiche che accompagnano (accompagnavano?) ogni anno l’installazione degli stand di Eurochocolate e, seppur in misura minore, dei palchi di Umbria Jazz o dei concerti (ricordate Radio Subasio?).

Si va da chi critica l’invasione di stranieri concomitante al Festival del Giornalismo, a chi allarga le braccia di fronte alle bancarelle dello Sbaracco e ai costumi di Perugia 1416.

Da chi si lamenta per lo scarso movimento, a chi strabuzza gli occhi quando vede piazza IV Novembre invasa di stand o di auto o di moto o di podisti.

La dicotomia è nella visione stessa della città.

Da un lato c’è chi vorrebbe esaltarne il carattere internazionale e multiculturale, aperto al mondo e alle nuove idee; dall’altro chi vorrebbe invece esaltarne il passato, rifugiandosi nelle peculiarità etrusche, nelle rivalità con gli altri centri umbri, nelle disfide fra rioni.

Ed è una dicotomia che ha nel centro storico il suo acme.

La conseguenza è quella attuale: una acropoli che sembra né carne né pesce, con i tavolini dei bar che pur essendo teoricamente in isola pedonale vengono sistematicamente sfiorati dai camioncini della nettezza urbana, dei cantieri e del carico/scarico. A tutte le ore.

Con bellissime stradine nelle quali passeggiare spesso invase da auto in sosta, in cui mamme con bambini e disabili in carrozzina rischiano la vita ad ogni passo.

Con i negozi che chiudono, qualcuno che viene sostituito (ricordate Bata?) e altri che provano ad aprire fra mille difficoltà.

E polemiche che tornano ad ogni chiusura e ad ogni festa comandata, senza che ci sia stato, negli ultimi decenni, un indirizzo chiaro da parte della classe dirigente. Non che sia facile, per carità.

Ma quando si governa per non scontentare nessuno, alla fine si finisce per scontentare tutti.

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