«Stop Tari, Tosap e Imu, blocco delle licenze e niente sagre: solo così riapriamo»

Le richieste dei ristoratori alle istituzioni locali. Venerdì sarà presentato un pacchetto di proposte alla presidente Tesei e ai sindaci

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di Pietro Cuccaro

Il mondo dei ristoratori in questi giorni è diviso – in Italia come in Umbria – sulle modalità e sulle forme della protesta. Ma su una cosa sono tutti d’accordo: il rischio vero non lo stiamo ancora vivendo; arriverà quando, finita la parte più dura della pandemia, ci sarà il ‘liberi tutti’. Si riaprirà, ma verranno meno anche quelle minime tutele che finora hanno posto un freno ai fallimenti delle aziende. E allora sarà una catastrofe, se non ci si penserà per tempo. Come? Gli imprenditori della ristorazione un’idea ce l’hanno e, al di là di piccoli dettagli, è grosso modo la stessa nelle varie correnti: stop all’emorragia di soldi e limiti ferrei alla concorrenza per chi esce dalla crisi. Tradotto: zero tasse, rinvio della concessione delle licenze e, soprattutto, no a tutte le sagre.

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Associazioni divise, ma con le stesse proposte

Ad esporre le proposte sono stati Giobi Zangara (Fiepet-Confesercent Umbria), Enrico Guidi (Mio Umbria) e Daniele Bartolini (che aderì alla prima manifestazione #IoApro1501). Ma sulla stessa lunghezza d’onda ci sono ad esempio i ristoratori della Fipe, che hanno manifestato in un giorno diverso (martedì anziché lunedì) per poi essere ricevuti in Regione, a cui hanno già sottoposto le loro richieste. Gli altri invece faranno una manifestazione pubblica alle 12 di venerdì, sotto la sede della Rai, chiedendo fra l’altro di poter rendere pubblica la loro protesta, per spiegarla per bene ai cittadini, visto che alcune proposte possono essere anche impopolari, come ad esempio quella relativa alle sagre, soprattutto in Umbria, dove su questi eventi si fondano molti appuntamenti tradizionali dei territori e – diciamolo – anche un bel po’ di economia. A seguire, previsto un incontro con la governatrice dell’Umbria Donatella Tesei.

Le proposte agli enti locali

Aumento (gratuito) dei posti a sedere all’esterno dei locali

Per la ripresa nel settore ristorazione bisogna puntare forte sui mesi caldi, per due motivi: si spera in una forte discesa del numero dei contagi, che può favorire riaperture diffuse e limitazione delle restrizioni; ma si può anche sfruttare di più la ristorazione all’aperto, soprattutto nei centri storici e nei borghi dove, con locali piccoli, il rispetto delle distanze minime (che comunque resterà in vigore, limitando i posti a sedere) sarebbe pressoché impossibile.

Ecco quindi la richiesta di ampliare lo spazio occupato e il numero dei posti a sedere all’aperto o nei dehors, senza che ciò comporti un aggravio nella tassa di occupazione suolo pubblico.

Ricalcolare la Tari: senza rifiuti, non si paga

Qui il discorso ha una sua logica: «Siamo stati chiusi per mesi, quindi non abbiamo prodotto rifiuti – dicono i ristoratori – perché dovremmo pagare la Tari?». La richiesta quindi è semplice: ricalcolare l’importo sulla base dei soli mesi di attività.

Addirittura più tranchant in questo caso la richiesta della Fipe che chiede pertanto l’esenzione totale dal pagamento di Tari e Imu per il 2020 e per i primi tre mesi del 2021, e una rimodulazione di tributi e tasse locali sulla base delle condizioni in cui si troveranno ad operare le imprese, fino alla fine del periodo di crisi.

Ci sarebbe in questo caso un importante gettito in meno per gli enti locali, che già di per sé non se la passano benissimo. Quindi, sulla carta, questa sembra la richiesta più lontana dall’essere esaudita. Una soluzione potrebbe essere la compartecipazione del governo, che potrebbe in parte compensare, per i Comuni, i mancati incassi.

Blocco delle licenze

«Se dopo un anno e mezzo di chiusura provo a riaprire, con tante difficoltà, non mi può aprire accanto un nuovo ristorante che parte da zero o magari un supermercato. Non sarebbe giusto, mi ammazzerebbe definitivamente», fa notare Giobi Zangara.

E allora la richiesta è questa: stop alle nuove licenze. Una moratoria di almeno due anni (ma l’ideale sarebbe un quinquennio) per consentire a chi ha resistito in questi mesi difficili di non avere nuovi concorrenti che partono da zero, senza il gravame di questi mesi difficili.

Una richiesta a cui, però non si accoda Fipe, secondo i cui uffici legali la cosa sarebbe di difficile applicazione, dopo la ‘direttiva servizi’ del 2010 che di fatto ha eliminato ciascun vincolo di tipo commerciale o di prossimità al divieto di autorizzazione all’apertura di una attività, conservando i soli motivi di interesse generale, che attengono però a tutela ambientale, salute e ordine pubblico. Da verificare se, agendo proprio sull’interesse generale, magari con una piccola forzatura, si possa ottenere una moratoria in tal senso.

Blocco delle sagre

E veniamo alla proposta che probabilmente più farà discutere, su cui c’è sostanziale accordo fra le varie associazioni di categoria di ristoratori, da quelle più tradizionali (Fipe, Confcommercio) a quelle nate più di recente sull’onda della protesta per le chiusure da lockdown.

Opinione diffusa fra le associazioni di categoria è che le sagre, anche in epoca pre-pandemica, abbiano messo in atto una concorrenza sleale nei confronti dei ristoratori. Senza dover essere sottoposte a nessuno dei vincoli cui invece devono sottostare le imprese che operano nel settore (dal più banale haccp alla contrattualizzazione degli operatori), le associazioni che organizzano feste ed eventi hanno proposto una offerta di ristorazione che è stata concorrenziale rispetto ai ristoranti.

Ciò – sempre secondo i ristoratori – mascherato da ‘iniziativa culturale’ che, in alcuni casi (prodotti realmente tipici, tradizioni radicate sul territorio etc), aveva un senso, ma nella maggior parte dei casi era solo un pretesto per creare economia e occasioni di svago. Il che, quando tutto va bene, è tollerabile. Non lo è invece in periodi di crisi come questo.

E allora la richiesta è semplice e radicale: stop a tutte le sagre per almeno 12 mesi su tutto il territorio regionale. Una proposta che, stando ai primi colloqui informali avrebbe incontrato ‘comprensione’ fra i vertici istituzionali. Da capire invece come la prenderanno associazioni e comitati oltre a tutto l’indotto (dalle orchestrine ai venditori ambulanti) che su certi eventi ci campa. E come le istituzioni sapranno essere consequenziali. 

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Fipe: «Riapertura programmata dal 24 aprile»

In occasione della protesta nazionale di martedì 13, con una lettera aperta alla presidente Tesei, Fipe Umbria ha chiesto alla Regione di programmare da subito la riapertura delle attività sia a pranzo che a cena, non oltre il 24 aprile, con prenotazione obbligatoria per garantire la massima sicurezza. «Le imprese non possono riaprire dall’oggi al domani: hanno bisogno di programmare per tempo la loro attività».

Finanziamenti garantiti

E hanno bisogno di soldi. Ecco perché si chiede a Palazzo Donini di farsi garante con il sistema bancario perché le imprese possano accedere a finanziamenti a tasso agevolato adeguati al fatturato perso, con almeno due anni di preammortamento.

Vaccini

Infine, è stata sottolineata la necessità di inserire nel piano vaccinale, al più presto, anche i dipendenti e titolari delle attività ristorative e turistiche, per offrire maggiori garanzie all’utenza e far ripartire il comparto. 

«Fine 2020 un quasi lockdown»

Nella stessa lettera, Fipe ha elencato le priorità assolute per la categoria, che sul territorio rischia di perdere il 30% delle attività, per colpa della pandemia e delle conseguenti restrizioni. Secondo l’Ufficio Studi Fipe, il quarto trimestre 2020 registra una contrazione del fatturato della ristorazione pari a -44,3% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Il periodo si conferma come un vero e proprio secondo lockdown per le imprese del settore portando l’intero anno ad una perdita complessiva del 36,2 % pari a 34,4 miliardi di euro.

Fipe: Imprese umbre tartassate

I dati raccolti dal portale Confcommercio www.osservatoriotasselocali.it dimostrano che molte imprese umbre pagano per la Tari più di quelle di altre regioni: «Un record odioso, soprattutto per alcuni settori costretti alla chiusura per lunghi periodi e per quelli legati al turismo, totalmente azzerato. Per ristoranti, trattorie, osterie, pizzerie, mense e birrerie umbre, ad esempio, la tariffa Tari è decisamente più alta della media nazionale: 22,25 euro al mq contro i 19,98 euro. Stesso discorso per bar, caffè e pasticcerie: in Umbria si pagano 18,78 euro contro i 16,30 della media nazionale».

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