Suicida a 49 anni: «Indagate sul perché»

Gualdo Tadino – I familiari dell’uomo morto nel febbraio 2019 chiedono al gip di non archiviare il caso: «Emarginato e lasciato solo»

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di Federica Liberotti

Una morte tragica che risale al febbraio del 2019, una famiglia che chiede di indagare fino in fondo sulle motivazioni. Perché di un suicidio si tratta, e a decidere questo drammatico epilogo è stato un uomo di soli 49 anni. Si chiamava Enrico, era di Gualdo Tadino (Perugia) ed era dipendente a tempo indeterminato – assunto come lavoratore svantaggiato – di una cooperativa sociale del posto, dalla quale nel 2006 era stato impiegato in un vivaio, nella manutenzione del verde pubblico e presso il canile rifugio comunale. Proprio in questo ambito i familiari dell’uomo chiedono che vengano svolti nuovi accertamenti, perché il loro sospetto è che qualcosa possa averlo spinto al suicidio, approfittando della sua fragilità.

L’inchiesta e la battaglia

Sulla morte del 49enne, trovato senza vita nella sua abitazione, era stata aperta un’indagine da parte della procura di Perugia. Indagine che però, nel febbraio scorso, la stessa autorità giudiziaria ha deciso di archiviare, non avendo riscontrato elementi tali da ipotizzare profili diversi da quelli di un gesto spontaneo. Da qui prende le mosse l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione presentato recentemente dai familiari della vittima – in particolare dal fratello maggiore Marco – al giudice per le indagini preliminari. Violenza privata e morte come conseguenza di altro delitto i reati che si ipotizzano.

«Tutto troppo strano»

«È stato portato alla disperazione per motivi di lavoro» è convinto Marco, che già in precedenza alla richiesta di archiviazione aveva presentato diverse denunce. «Enrico era una persona buona – racconta -, ingenua, sostanzialmente incapace di difendersi, non aveva debiti, viveva in una villetta con giardino in una regione bellissima, immerso nella natura, non aveva grandi preoccupazioni. Enrico era diplomato, utilizzava un computer, aveva un’autovettura di proprietà, era appassionato di astronomia e di cinema. Era un uomo con molteplici interessi. Nel suicidio, per noi è evidente, c’è qualcosa che non quadra».

Il test

Il 49enne era in cura per depressione, come risulta anche dalla cartella clinica sequestrata dalla procura, ma anche in questi documenti, sempre a detta dei familiari, «c’è qualcosadi strano. Qualche settimana prima – continua il fratello – Enrico si era sottoposto al test MMPI-2 (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), uno dei più affidabili utilizzati in psicologia, eppure uno dei campi che il test analizza è proprio l’eventuale propensione al suicidio dell’esaminato. Nondimeno, nella cartella sanitaria e di rischio, non risultano indicati i pericoli tipici di chi svolge il suo mestiere, ma viene riportata chiaramente l’indicazione dell’orario giornaliero retribuito: due sole ore di lavoro per sei giorni a settimana».

«Un trauma decisivo»

Enrico, sostiene sempre la sua famiglia, «era stato emarginato, lasciato solo». Ma a mettere un ulteriore, determinante, carico sarebbe stato «un gravissimo trauma psicologico il giorno precedente la morte che gli ha provocato un dolore immenso, impossibile da sopportare» sostiene sempre il fratello Marco, convinto di avere in mano elementi di prova importantissimi, composti non solo da testimonianze, ma anche da scritti e registrazioni fonografiche raccolte da una perizia di parte svolta sul telefonino e sul computerdi Enrico. «Non posso pensare di non avere giustizia e che su questa vicenda cali il silenzio» dice ancora il fratello. La parola, ora, passa al gip.

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