di Marco Torricelli
Era il 17 luglio del 2014, quando Lucia Morselli presentò quello che venne subito definito «il piano lacrime e sangue» e che scatenò la reazione dei lavoratori: «Qui – dissero i sindacati annunciando quello che sarebbe stato l’inizio di una lunghissima stagione di scioperi, scontri e trattative – si corre il rischio di sancire la morte dell’acciaieria per come la si conosce e di avviarsi su un percorso che ridurrà lo stabilimento ternano ad un centro di rilavorazione e distribuzione di acciaio laminato a freddo».
IL PROGETTO PRESENTATO A LUGLIO 2014
La vertenza Tutto, allora, ruotava intorno al ‘progetto’ denunciato dai sindacati: «Si vuole spegnere uno dei due forni di fusione – si disse – e si vogliono mandare a casa 550 persone, con la conseguenza che altrettante, nel così detto indotto, facciano la stessa fine». E da lì partì tutto: cortei, anche notturni, blocchi stradali e ferroviari, manganellate ai lavoratori. Per quasi cinque mesi. Fino a quando, il 3 dicembre, al ministero dello sviluppo economico – qualcuno parlò i «vittoria di squadra» e mancò poco che qualcuno proponesse di stappare lo champagne – si siglò un accordo che; si intuiva, ma chi lo diceva venne preso a male parole; oggi torna drammaticamente in discussione.
L’ACCORDO FIRMATO A DICEMBRE 2014
I ‘tagli’ Per cominciare, i numeri: a luglio i lavoratori del gruppo Ast erano 2691. Ad oggi – minimo storico per le acciaierie – sono 2340 e il trend in calo prosegue e potrà proseguire fino al 4 aprile prossimo, data in cui si chiuderà il ‘ciclo’ di mobilità. Due dati balzano agli occhi: il primo è che il taglio netto è di 351 addetti e quindi ben superiore ai 290 di cui si era parlato al momento dell’accordo e il secondo, infatti, è che si è scesi abbondantemente sotto la ‘soglia’ dei 2.400, indicata come la minima sostenibile da parte dei sindacati.
L’organizzazione Da qui si parte per analizzare la situazione attuale alle acciaierie ternane: l’azienda, da lunedì, ha intenzione di dare attuazione ad un piano di riposizionamento interno del personale – soprattutto in quella ‘area a caldo’ – per la quale ci si è scannati per mesi, che i sindacati contestano e che sta creando fortissime tensioni tra le Rsu – che hanno parlato di «ricatti» – e Lucia Morselli, che ha mandato a dire di essere pronta a «tutelarsi in tutte le opportune sedi competenti».
La sicurezza I sindacati motivano le loro perplessità «in primo luogo rispetto alle questioni di sicurezza e incolumità dei lavoratori del sito Ast» ed hanno chiesto al prefetto Bellesini «che tali nostre preoccupazioni siano portate a conoscenza del Nucleo operativo integrato», paventando i possibili «rischi che tali scelte potrebbero determinare e dei quali non ci riterremmo responsabili». A cui l’azienda aveva replicato affermando che «questa nuova organizzazione aziendale è compatibile con il mantenimento e il miglioramento degli standard definiti dalle certificazioni internazionali, che sono indispensabili per migliorare l’immagine e la competitività aziendale».
Il documento Nel documento siglato alla fine della riunione nella quale non si è raggiunto l’accordo sulla valutazione dei rischi, peraltro, l’azienda ha specificato che «si ribadisce che affrontare problemi di sicurezza in termini collaborativi è un presupposto necessario al conseguimento degli obbiettivi che l’azienda si è prefissa. Si fa inoltre presente che, in relazione all’accordo firmato al Mise il 3 dicembre 2014 , l’azienda e le organizzazioni sindacali si sono impegnate nel conseguimento della certificazione 8S Ohsas 18001, pertanto la mancata firma dei Dvr potrebbe comportare ritardi per tale certificazione e il mancato raggiungimento degli obbiettivi previsti nel contratto integrativo aziendale». Da qui, probabilmente, l’alzata di scudi da parte delle Rsu di Ast.
Settimana impegnativa Una cosa certa è questa: la settimana prossima tornerà ad essere di quelle impegnative: i delegati delle Rsu si sono impegnati ad avviare un monitoraggio puntuale su tutte le aree dello stabilimento che saranno interessate dal piano di riposizionamento del personale e martedì dovrebbe svolgersi un vertice tra loro, i segretari territoriali dei sindacati e i vertici nazionali – quelli che si erano impegnati formalmente, anche durante le infuocate assemblee in fabbrica, a «non lasciare soli i delegati nella gestione» di un accordo per la cui firma proprio loro, e qualcuno di loro più di altri, avevano spinto. Molto.