di S.F.
«I presupposti per la decadenza, a norma regolamentare, erano ampiamente maturati. Sulla base di quanto esposto sulla portata applicativa della disciplina regionale, è agevole argomentare l’infondatezza dei motivi di censura proposti dalla ricorrente». Lo scrive il Tar Umbria nella sentenza pubblicata venerdì che, in sintesi, boccia il ricorso della Cidat (Centro Imaging Diagnostico Avanzate Tecnologie srl) contro la Regione Umbria per una casa di cura privata a Terni. Gli avvocati interessati sono Giovanni Ranalli per la società e Anna Rita Gobbo per palazzo Donini. Vedremo se la battaglia giudiziaria proseguirà.
LA RESA DEI CONTI AL TAR TRA CIDAT E REGIONE
Il gruppo con a capo Maurizio Gambino aveva impugnato l’atto dirigenziale del 12 gennaio 2023 che dichiarava decaduto l’assenso rilasciato dall’ente (26 ottobre 2016) alla realizzazione di struttura da destinare a casa di cura per complessivi 82 posti letto in via Ippocrate 164. La Cidat – c’è il riepilogo nella sentenza – ha ricordato di avere in mano l’autorizzazione unica del Comune firmata il 9 gennaio 2017 per l’ampliamento della struttura esistente, «che non prevede termini di inizio e/o fine lavori» e che si è «vista costretta ad interrompere le operazioni di realizzazione dell’ampliamento della struttura (cui era sottesa una complessa e dettagliata attività progettuale, pure tempestivamente attivata) a causa dell’emergenza epidemiologica derivante dal Covid». Poi si arriva al 20 ottobre del 2022, quando la Regione ha disposto l’acquisizione della documentazione «attestante la fine dei lavori e eventuale copia del provvedimento comunale di autorizzazione alla realizzazione della struttura; in difetto di riscontro, decorsi 10 giorni, l’atto di assenso alla realizzazione dovrà considerarsi decaduto ex tunc». La Cidat ha subito risposto (28 ottobre 2022) rendendo conto delle attività realizzate, per poi ribadire «l’intenzione di realizzare il progetto autorizzato, anche nelle mutate condizioni di mercato e del piano sanitario regionale».
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Diversi i motivi di ricorso. In primis – sintetizzando – che le «norme regolamentari sopravvenute non possono incidere su situazioni giuridiche consolidate». Poi il fatto che «la decadenza è stata dichiarata con atto di un dirigente del servizio, laddove l’assenso era stato esternato con determinazione del direttore generale». La Regione si è mossa affermando che il «Comune di Terni non ha assunto alcun provvedimento a seguito della decadenza, e la ricorrente ha presentato al Comune, in data 1 febbraio 2024, vale a dire a distanza di otto anni, domanda di ‘autorizzazione alla realizzazione ampliamento di strutture già autorizzate alla realizzazione di una struttura sita in Terni Via Ippocrate strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti con relativi posti letto e/o capacità ricettiva: struttura fabbricato ospedalieri- casa di Cura numero posti letto 82’, ai sensi del nuovo regolamento regionale 9/2023» e «l’aver presentato al Comune di Terni una nuova domanda per l’ampliamento del fabbricato già di per sé esclude l’interesse a coltivare il presente ricorso». Bene, cosa dicono i magistrati amministrativi? Lo riportiamo nei passaggi principali.
LA CHIUSURA NEGATIVA DELLA CONFERENZA DI SERVIZI – DOCUMENTO (.PDF)
«Un termine di validità/efficacia è necessario, altrimenti, se si ammettesse – si legge nella sentenza – la perdurante efficacia dei titoli autorizzatori pregressi, si avrebbe una situazione di indeterminatezza sul se e quando le strutture autorizzate entreranno in funzione, con evidenti gravi ripercussioni sulla programmazione sanitaria. Questa, infatti, attraverso la valutazione di compatibilità regionale, prevede in sostanza, anche nei confronti delle strutture private non interessate ad avere rapporti convenzionati con il SSR (e quindi estranee al controllo attuato mediante il meccanismo dei tetti di spesa), il controllo dell’offerta sanitaria complessiva a fini di adeguata ed equilibrata distribuzione sul territorio, e dunque, in definitiva, un tendenziale contingentamento delle strutture sanitarie attivabili. Il regolamento 6/2017 disciplina la durata dell’efficacia delle autorizzazioni in modo non irragionevole, posto che un biennio (da intendersi come decorrente dall’entrata in vigore della nuova disciplina) è termine esigibile, se si considera che, per non incorrere nella decadenza, è sufficiente l’inizio dei lavori. Quando ciò non sia avvenuto, significa che la prima fase del procedimento autorizzatorio non ha avuto un seguito costruttivo, ed è legittimo che intervenga la decadenza, che ha la funzione di liberare una risorsa – la possibilità di realizzare una struttura sanitaria – che, per quanto esposto, non ha carattere illimitato, ma condizionato dalla situazione contingente del servizio sanitario e del mercato delle prestazioni del settore». Per il Tar «è logico che, trascorso infruttuosamente il periodo considerato, le condizioni di compatibilità in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture, possano essere mutate e comunque debbano essere rivalutate nell’ambito di un nuovo procedimento».
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C’è poi il passaggio chiave: «Va quindi sottolineato che, a distanza di circa sei anni dal rilascio dell’assenso regionale, e di oltre cinque dal rilascio dell’autorizzazione comunale e dall’entrata in vigore del regolamento 6/2017, i lavori di realizzazione della struttura della ricorrente non risultavano iniziati. La circostanza è affermata dalla Regione: ‘Del resto, occorre rilevare al riguardo che, alla nota del 28 ottobre 2022, con la quale la Regione Umbria chiedeva di conoscere se i lavori per i quali aveva rilasciato l’assenso per la realizzazione/ampliamento della struttura fossero iniziati, la Cidat srl ha risposto in senso negativo, dichiarando di avere ‘affidato la fattibilità del progetto ad uno studio’ – e non è stata confutata in giudizio. Quindi, i presupposti per la decadenza, a norma regolamentare, erano ampiamente maturati». Focus anche sull’attività del Comune su questo fronte: «Qualora l’autorizzazione comunale avesse previsto dei termini, si sarebbe posto il problema dell’allineamento dell’efficacia temporale dei due provvedimenti, ma così non è. Ciò che conta è che un effetto autorizzatorio sine die non risulta compatibile con il sistema complessivo. La questione esula dal presente giudizio, ma può ipotizzarsi che, come previsto nella revoca dell’assenso, il Comune di Terni debba adottare le conseguenti determinazioni in ordine all’autorizzazione unica, ormai priva di un necessario presupposto». Infine il tribunale aggiunge che «l’intervenuta decadenza, che non ha carattere sanzionatorio, bensì funzionale alla razionale gestione delle autorizzazioni di settore, non impedisce che venga rinnovato il procedimento autorizzatorio al fine di ottenere un nuovo assenso regionale». Si va al Consiglio di Stato? Vedremo.