Terni, Panicunzatu ‘smantella’ e lascia dubbi e polemiche

I lavoratori: «Vogliamo quanto ci spetta». In dodici devono ancora percepire stipendi e liquidazione

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di F.L.

Scende definitivamente il sipario sulla (breve) esperienza a Terni della catena di fast food siciliana ‘Panicunzatu ristò’, che nel marzo di un anno fa aveva inaugurato un punto vendita all’interno del centro commerciale Cospea Village. Tra martedì e mercoledì il locale – chiuso al pubblico ormai dall’inizio del lockdown – è stato infatti smantellato, frigoriferi e dispense (ancora pieni di cibo) svuotati e gli allestimenti trasferiti verso altri punti vendita italiani. La questione però è destinata a non chiudersi definitivamente così, visto che la dozzina di dipendenti ternani della società, i cui contratti sono scaduti il 31 marzo scorso, attendono ancora di ricevere stipendi e spettanze pregresse, per cifre che in qualche caso raggiungono anche i 20 mila euro.

Il trasloco

Il contratto diverso

«Ci è stata pagata, con ritardo, la cassa integrazione di marzo, ma aspettiamo di vedere ancora gli stipendi di gennaio (escluso un acconto di 150 euro, ndr), febbraio e dei primi giorni di marzo» racconta Stefania, uno dei lavoratori interessati, che nel frattempo si sono rivolti all’ufficio vertenze della Cgil, visto che dall’azienda non è arrivata risposta alle numerose sollecitazioni via mail. A mancare all’appello è anche la liquidazione e il corrispettivo della rivalutazione del contratto. «Solo dopo esserci rivolti all’avvocato ci siamo infatti resi conto che non ci era stato applicato il contratto nazionale turismo e pubblici esercizi, come credevamo, ma un altro al quale avremmo dovuto aderire al momento dell’assunzione. Ma nessuno ci ha detto nulla né fatto firmare qualcosa» continua Stefania.

La segnalazione all’Ispettorato del lavoro

Non l’unica anomalia riscontrata sin dall’inizio dell’attività, stando sempre al racconto dei dipendenti, la maggior parte (come la stessa Stefania) assunti, di tre mesi in tre mesi, con contratti part time a 4 ore per sei giorni la settimana. «Io prendevo 700 euro al mese – continua la donna -, i primi tempi arrivavano tutti i mesi, ma comunque sempre in ritardo. Spesso però venivano dichiarate meno ore di quelle effettivamente svolte, gli straordinari venivano pagati come trasferte, il corrispettivo economico delle ferie stornato. Avevamo problemi a reperire le buste paga, anche il Cud 2020 lo abbiamo ricevuto con molta fatica». Inevitabile, visto il quadro, la segnalazione all’Ispettorato del lavoro.

Dramma senza fine

Fatto sta che Stefania (43 anni e due figli da mantenere) stando ai calcoli fatti dal sindacato deve ancora percepire 6 mila 800 euro, altri colleghi addirittura dagli 11 ai 20 mila euro. Soldi che ci si chiede se e quando arriveranno da parte della proprietà, la Futuro Food srl, con sede a Misterbianco (Catania), capitale sociale 10 mila euro. «Fortuna che ho una casa di proprietà e mia madre che mi aiuta, altrimenti sarei dovuta andare alla Caritas – racconta Stefania -. Ora lavoro in un bar di una mia amica con dei contratti a chiamata, ma con due figli a carico la situazione è pesante. Molti altri colleghi sono ancora a spasso». Il Covid, come avevano già sottolineato gli stessi lavoratori a marzo, appare solo un pretesto per la chiusura. «Abbiamo saputo che negli anni questo è il settimo locale che viene smantellato. La maggior parte più di qualche mese non è durato. Ora allestimenti e cucine – conclude Stefania – verranno trasferiti a Roma e Milano». Il dramma sociale già vissuto da tanti lavoratori rischia dunque di non avere fine.

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