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Home » Umbria, cresce ancora il lavoro precario

Umbria, cresce ancora il lavoro precario

di Marco Torricelli
19 Ottobre 2017
in Attualità, Dal territorio, Economia, Politica, Statistiche
Tempo di lettura: 4 minuti di lettura
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Il ‘Rapporto sul precariato’, appena pubblicato da Inps e riferito al periodo gennaio-agosto 2017, certifica che se il calo dei contratti a tempo indeterminato, a livello nazionale, è stato del 3,5%, inUmbria – a conferma di un trend ormai consolidato – le assunzioni stabili sono invece calate del 9,9%. Solo Liguria e Lazio hanno fatto peggio. 

IL RAPPORTO INPS SUL PRECARIATO (ANCHE NELLA SEZIONE DOCUMENTI)

I dati Inps (cliccare per ingrandire)

Le assunzioni In Umbria le persone che sono state ‘collocate’ nei primi sei mesi dell’anno, aumentano complessivamente del 24,8%, ma resta basso il numero di contratti a tempo indeterminato: 7.267  (erano stati 8.065 l’anno scorso), mentre aumentano le assunzioni a termine (39.102 contro 28.796 nel 2016), quelle per gli apprendisti (3.541 rispetto a 2.843) e quelle stagionali (2.275 contro 2.696).

Mario Bravi

Ires critica «L’Osservatorio – attacca Mario Bravi, di Ires Cgil – conferma ancora una volta l’estrema precarietà del mercato del lavoro in Umbria: infatti, su 52.185 attivazioni (tra tempi indeterminati, tempi determinati, apprendistato e stagionali) i tempi indeterminati (comprese le trasformazioni avvenute) risultano 10.503, circa il 20% del totale. Dunque, si conferma che solo 1 nuovo contratto su 5 in Umbria è a tempo indeterminato. I contratti a tempo indeterminato attivati nei primi 8 mesi dell’anno (senza contare le trasformazioni) sono stati 7.267, erano 8.065 nello stesso periodo del 2016 e 13.624 nel 2015. Nel confronto 2017-2016, il calo dei contratti a tempo indeterminato è stato del -9,9% (contro una media nazionale di – 3,5%). Fanno peggio della nostra regione solo Liguria e Lazio. Inoltre, mentre in Umbria i tempi indeterminati sono circa il 20% delle nuove attivazioni, la media nazionale, pur bassa, è attorno al 24%. Per di più, nel periodo considerato (gennaio- agosto 2017) per la prima volta le cessazioni di contratti a tempo indeterminato sono superiori in assoluto alle attivazioni (che includono anche le trasformazioni): 11.714 contro 10.503. Quindi, non solo si conferma la estrema fragilità e precarietà della condizione lavorativa delle persone che entrano nel mercato del lavoro, ma, anche se sembra incredibile, ci sono segnali di ulteriore peggioramento sul terreno della qualità del lavoro. Le attivazioni complessive (52.185) restano invece superiori alle cessazioni (42.444) ma questo non cambia il quadro complessivo, visto che, allargandosi la precarietà, spesso una singola persona è costretta ad attivare più contratti nello stesso anno. Non a caso, l’Istat parla anche di calo dell’occupazione nel secondo trimestre 2017. Insomma, il lavoro, quando c’è, è sempre più fragile e precario e il trend è ulteriormente in peggioramento. È urgente una profonda trasformazione delle politiche economiche e del lavoro».

In Italia L’Inps spiega che «nei primi otto mesi del 2017, nel settore privato si registra un saldo tra assunzioni e cessazioni pari a +944.000, superiore a quello del corrispondente periodo sia del 2016 (+704.000) che del 2015 (+805.000). Calcolato su base annua il saldo consente di misurare la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro. Questo saldo annualizzato – vale a dire la differenza tra assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi – risulta pari a +565.000 (in leggera contrazione rispetto a quello rilevato a luglio: +586.000). Tutte le tipologie contrattuali sono in crescita su base annua: + 17.000 per i contratti a tempo indeterminato, + 53.000 per i contratti di apprendistato (+53.000), + 45.000 per i contratti stagionali e, soprattutto, + 494.000 per i contratti a tempo determinato. Queste tendenze attestano la persistenza di una fase di ripresa occupazionale».

I flussi Aumenta, spiega l’istituto, il turnover dei posti di lavoro «grazie soprattutto alla forte crescita delle assunzioni (nei mesi di gennaio-agosto 2017 sono risultate 4.598.000, in aumento del 19,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Crescono anche le cessazioni (3.654.000, +15,9% rispetto all’anno precedente) ma meno delle assunzioni. Alla crescita delle assunzioni, il maggior contributo è dato dai contratti a tempo determinato (+26,3%) e dall’apprendistato (+25,9%) mentre sono diminuite le assunzioni a tempo indeterminato (-3,5%: questo calo rispetto al 2016 è interamente imputabile alle assunzioni a part time). Tra le assunzioni a tempo determinato appare significativo l’incremento dei contratti di somministrazione (+19,2%) e ancora di più quello dei contratti di lavoro a chiamata che, con riferimento sempre all’arco temporale gennaio-agosto, sono passati da 121.000 (2016) a 278.000 (2017), con un incremento del 129,5%. Questo significativo aumento – come, in parte, anche quello dei contratti di somministrazione e dei contratti a termine – può essere posto in relazione alla necessità per le imprese di ricorrere a strumenti contrattuali sostitutivi dei voucher, cancellati dal legislatore a partire dalla metà dello scorso mese di marzo e sostituiti, a partire da luglio e solo per le imprese con meno di 6 dipendenti, dai nuovi contratti di prestazione occasionale.

Calano indeterminati Per effetto di questi andamenti, dice ancora l’ines, «si registra un’ulteriore compressione dell’incidenza dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni (24% nei primi otto mesi del 2017): nel 2015, quando era in vigore l’esonero contributivo triennale per i contratti a tempo indeterminato, era stato raggiunto il valore di 38,4%. Le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato – ivi incluse le prosecuzioni a tempo indeterminato degli apprendisti – sono risultate 240.000, con un lieve incremento rispetto allo stesso periodo del 2016 (+0,9%). Per le cessazioni, la crescita è dovuta principalmente ai rapporti a termine (+23,9%). Le cessazioni di rapporti a tempo indeterminato risultano sostanzialmente stabili (+0,3%). Con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato, i licenziamenti risultano pari a 379.000, in riduzione rispetto al corrispondente periodo di gennaio-agosto 2016 (-4,7%); in aumento risultano invece le dimissioni (+5,8%). Il tasso di licenziamento, calcolato sull’occupazione a tempo indeterminato, compresi gli apprendisti, è risultato per i primi otto mesi del 2017 pari al 3,4%, in lieve riduzione rispetto a quello registrato per lo stesso periodo del 2016 (3,5%)».

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