Umbria e sospette varianti del Covid: «Qualcosa è accaduto»

Intervista alla professoressa Daniela Francisci: «Quella ‘brasiliana’ scoperta per caso. Ma da giorni i numeri parlano da soli. Altre varianti? Non possiamo escluderlo e attendiamo l’ISS»

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di F.T.

«Qualcosa in Umbria è successo, mi pare abbastanza evidente. E quando lo scorso 8 gennaio abbiamo inviato i due tamponi, pur nel contesto di una selezione casuale e non mirata, all’Istituto Superiore di Sanità per i necessari approfondimenti, i tempi si può dire che fossero già ‘sospetti’. Perché si iniziavano a percepire quelle differenze, fra l’Umbria e il resto d’Italia ed all’interno della stessa regione, che rappresentano, oggi e da giorni, lo scenario in cui ci stiamo muovendo. Con sempre maggiori difficoltà, se penso ad esempio alla situazione dell’ospedale di Perugia».

SPECIALE COVID – UMBRIAON
COVID, SOSPETTA VARIANTE BRASILIANA IN UMBRIA

I due casi ‘sospetti’

A parlare è la professoressa Daniela Francisci, direttrice della clinica di malattie infettive dell’ospedale ‘Santa Maria della Misericordia’ di Perugia. Martedì l’ISS ha bollato come ‘sospetti’ i due tamponi citati in premessa: uno relativo ad un paziente ultra 80enne, già segnato da precedenti problematiche di salute e poi deceduto in ospedale, e l’altro effettuato su un 78enne ricoverato presso il nosocomio perugino. In quei due tamponi molecolari potrebbe esserci – è la possibilità paventata dall’Istituto presieduto da Silvio Brusaferro – la ‘variante brasiliana’ del Covid-19. La prova – che in queste ore si continua a sperare che possa essere smentita – della sua presenza in Umbria. Ma, certo, i dati epidemiologici generali preoccupano, anche e soprattutto con tale evenienza sullo sfondo.

Daniela Francisci

Più di un sospetto

«Nei fatti, la scoperta della possibile ‘variante brasiliana’ in Umbria – osserva la professoressa Francisci – è stata occasionale. Ogni mese vengono inviati dei campioni ‘random’ all’ISS, anche per un discorso di sorveglianza sanitaria. Lo stesso è valso per i due test inviati lo scorso 8 gennaio. In quei giorni già c’erano alcune evidenze di una circolazione elevata del virus, in Umbria ed in particolare nel territorio perugino, compreso un cluster intraospedaliero. La risposta (ovvero il ‘sospetto’ – anche qualcosa di più – che la ‘variante brasiliana’ sia in Umbria, ndR) è arrivata martedì 2 febbraio e non sappiamo di preciso cosa sia accaduto nell’ultimo mese. Ciò che abbiamo subito fatto, è stato inviare altri 42 tamponi, questa volta molto più selezionati, all’ISS per avere le risposte entro venerdì».

Cosa è accaduto in Umbria?

«Questi 42 tamponi – spiega la professoressa Francisci – sono stati selezionati partendo da cluster nosocomiali e con caratteristiche particolari, prima fra tutte l’assenza di amplificazione del gene S. Elemento che fa sospettare la presenza di varianti del virus, in questo caso diverse da quella ‘brasiliana’. Per venerdì avremo altre informazioni e potremo capire, in termini di maggiore certezza, quali ceppi si siano eventualmente diffusi qui da noi in Umbria. Il ‘brasiliano’ potrebbe non essere il solo, l’unico, ma è ovviamente presto per dirlo. Di fronte abbiamo un andamento dell’epidemia che presenta una divaricazione netta fra l’Umbria e il resto d’Italia ed anche fra zone come il Perugino, quella del lago Trasimeno, il Folignate, rispetto ad altre come il Ternano che si caratterizzano per numeri di molto inferiori, quasi da ‘zona bianca’. Non possiamo escludere che tale contesto si modifichi nel giro di alcuni giorni, ma la situazione per ora è questa. Come regione siamo ‘arancioni’ forse grazie ai dati del Ternano e speriamo di poter mantenere questo ‘colore’. La realtà è che la pressione sugli ospedali, quello di Perugia in particolare ma non solo, inizia ad essere davvero forte, sempre meno sostenibile, a fronte di un numero crescente di medici, infermieri, oss e pazienti infettati».

Cos’è la ‘variante brasiliana’

«Si tratta – chiarisce Daniela Francisci – forse della variante, fra le tre note, di cui sappiamo al momento di meno. In Italia sono stati registrati pochi casi, tre in Abruzzo, uno nel nord del Paese. Casi che, una volta tracciati, hanno permesso di risalire al contatto originario con il Brasile. I due casi umbri al momento sospetti, non sono direttamente collegabili con quella nazione. Certo, il risultato di questi due tamponi processati dall’ISS ci ha spiazzati, c’è poco da fare. Mai ci saremmo attesi una possibilità del genere, pur in un contesto fatto di dati davvero particolari. Della variante ‘brasiliana’ al momento si sa ancora poco. Sappiamo che manifesta almeno 11 mutazioni nella proteina ‘spike’ ed in particolare 3 di queste si trovano nel punto più delicato, quello che va a legare il recettore. Non sappiamo se porti con sé una patologia complessivamente più grave, verosimilmente sappiamo che è più contagiosa del virus originario. Non ci sono studi, come per la ‘variante inglese’ che sappiamo avere una contagiosità superiore del 70/80%. Ma determinati numeri relativi al Brasile fanno pensare che sia più trasmissibile e quindi contagiosa». Un altro aspetto, non di poco conto, che il tempo chiarirà – e ciò non vale solo per l’Umbria – è se i vaccini attualmente disponibili siano efficaci anche contro tale variante: «Non abbiamo informazioni certe sul punto – conclude la professoressa Francisci -. Non sappiamo nemmeno se ci si può re-infettare. Ciò che mi sento di dire è che i vaccini restano, a prescindere, fondamentali e che è bene che la campagna proceda il più speditamente possibile. Si tratta dello strumento principale che può davvero difenderci e su cui dobbiamo riporre la nostra massima fiducia».

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