Terni, Comune utilizza aree senza titolo: arriva l’indennizzo

Via Turati: nel 1978 l’approvazione del progetto di completamento, ma per alcune zone non fu completata la procedura d’esproprio. Indennità da oltre 100.000 euro

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di S.F.

Può accadere che un Comune utilizzi alcune aree senza titolo per decenni, seppur per un interesse pubblico? Sì, per quanto assurdo possa sembrare. È la situazione che si è sviluppata a Terni nell’ambito del completamento viario di via Turati, dall’incrocio con via Menotti Serrati fino all’attuale rotatoria di viale Trento: a distanza di 41 anni palazzo Spada sta per chiudere la vicenda pagando un’indennità di circa 125 mila complessivi euro a favore di due soggetti, una fondazione con sede a Venezia e una donna di origini abruzzesi.

Via Turati

I lavori a fine ’70 e gli espropri non finalizzati

Si parte dal luglio 1978. All’epoca fu approvato il progetto di completamento di via Turati per il miglioramento della viabilità a servizio della nuova zona, legata al piano di edilizia economica popolare. Bene. Si arriva al maggio dell’anno successivo quando un decreto d’occupazione d’urgenza consentì al Comune di prendere possesso delle superfici – oltre 5.000 metri quadrati – per la realizzazione della strada. Ed ecco dove nasce il problema. Perché l’amministrazione non concluse il procedimento di esproprio per alcune aree e, a distanza di anni, c’è chi ha bussato alle porte di palazzo Spada con una formale richiesta di «ricondurle allo stato originario ante occupazione e di restituire le stesse a me e agli altri comproprietari», nonché di risarcimento del danno subito e, in subordine, l’attivazione dell’iter di acquisizione riferito all’articolo 42bis del testo unico per le espropriazioni di pubblica utilità. Tuttavia nella stessa missiva – 2014 – fu specificata la disponibilità a concordare soluzioni alternative. D’altronde il contenzioso non giova a nessuno.

Palazzo Spada

La non acquisizione

Proprio così. A fine 2017 è lo stesso Comune a mettere nero su bianco che qualcosa non è andato nel verso giusto: le aree – poco più di 3.900 metri quadrati – in questione «non risultano essere state acquisite al patrimonio comunale né attraverso l’emanazione di un decreto di esproprio, né attraverso la sottoscrizione di un contratto di acquisizione bonaria». Tutto ciò «nonostante il decreto d’urgenza d’occupazione e lo stato di consistenza redatto nel luglio 1979». Inoltre non fu liquidato alcun importo per l’indennità di esproprio. E dunque «risultano effettivamente utilizzate dall’amministrazione comunale senza titolo». Da più decenni.

A destra l’avvocato Umberto Segarelli

L’iter per risolvere

Il Comune già nel 2015 si era attivato con una proposta – poi accettata nel 2017, ma considerando anche gli interessi legali maturati – di accordo bonario con pagamento di oltre 100 mila euro, d’altronde ormai era impossibile tornare allo stato di origine. Nel contempo l’avvocato Umberto Segarelli – per i due comproprietari – ha si è fatto vivo con palazzo Spada per tentare di mettere la parola fine alla vicenda: il 12 dicembre 2017 ci fu l’approvazione della delibera da parte della giunta Di Girolamo per concludere il procedimento. Le tempistiche tuttavia sono lunghe, a tal punto che si arriva allo scorso gennaio senza l’esito positivo: «A tutt’oggi – la nota partita dal Comune in avvio di 2020 – permangono le ragioni di interesse pubblico che impongono l’acquisizione delle aree in questione, poiché l’opera è stata realizzata ed utilizzata dalla collettività da oltre trent’anni. Il pagamento a titolo di indennità per l’acquisizione dell’area in oggetto è condizione necessaria e prodromica alla stipula del contratto». Si tratta di poco più di 62 mila euro a testa per i due soggetti creditori.

Da occupazione illegittima a possesso legittimo

Passano ulteriori mesi – siamo ad agosto 2020 – e Segarelli riscrive a palazzo Spada ricordando che ci sarebbe da perfezionare e dare corso alla delibera di fine 2017. A questo punto entra in azione il dirigente Piero Giorgini tre settimane fa, considerata «l’urgenza e la manifesta necessità di addivenire ad una soluzione risolutiva della questione, nonché di scongiurare possibili ulteriori conseguenze negative per l’ente, già in stato di dissesto dichiarato, in caso di avvio di eventuali contenziosi per risarcimento danni o in alternativa dell’attuazione del più gravoso rimedio per l’ente di cui all’articolo 42bis del testo unico degli espropri». Impegno di spesa da 125 mila euro – la cifra sale di ulteriori 13 mila considerando le spese contrattuali – per l’indennizzo utile a terminare l’acquisizione attraverso la cessione volontaria – come prevede la normativa – da parte dei comproprietari. Quasi mezzo secolo per trasformare l’occupazione illegittima in possesso legittimo, forse ci siamo.

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