di M.T.
Complessivamente sono 30. Tutte aziende di piccole e medie dimensioni che lavorano per l’Ast. Il destino di alcune di esse, però, è appeso ad un filo. Che si sta sta pericolosamente sfibrando e che potrebbe provocare la loro caduta nel baratro, trascinandosi dietro le vite di un sacco di gente. Mentre ad altre la sorte potrebbe decisamente sorridere.
Ast e appalti Tutta la storia è legata alle scelte che si stanno mettendo a punto ai ‘piani alti’ di Ast – nell’ufficio di Lucia Morselli, tanto per essere chiari – dove, sfogliando la margherita, si decide ‘chi è fuori è fuori’ e ‘chi è dentro è dentro’, ma anche della vita e della morte di imprese, del futuro di persone e intere famiglie.
Le une Loro sono 18, sono le aziende che fanno parte del consorzio ConsImec – la capofila è la Imec – fanno lavorare circa 400 persone e molto probabilmente a fine mese avranno un problema. L’Ast potrebbe, molto semplicemente, non rinnovare i contratti con i quali queste imprese lavorano all’interno del suo perimetro aziendale.
Le altre Loro, invece, sono 12, fanno parte del consorzio Ternirisorse e, dall’inizio del mese di ottobre, potrebbero invece scoprire di essere molto fortunate, visto che molti di quei contratti che l’Ast non rinnoverà alle altre, potrebbero finire proprio nella loro disponibilità. Ma nella partita potrebbe rientrare anche la Ilserv.
L’allarme Inutile dire che la faccenda sta mandando in fibrillazione parecchi imprenditori locali – i lavoratori no, hanno poco da andare in fibrillazione, loro. Se li cacciano, verranno derubricati come ‘danni collaterali’, o poco più. E amen – perché ad essere messo in discussione, se Ast andrà avanti per la sua strada – e tutto lascia pensare che, proroghe a parte, quella sia l’intenzione – sarebbe l’intero sistema, o almeno una buona parte di esso, delle piccole e medie imprese che operano, anche, nell’indotto della multinazionale ThyssenKrupp. Con possibili ricadute devastanti per l’economia cittadina.
I dubbi E la cosa inquietante è che alla base delle scelte di Ast non ci sarebbero problemi di qualità del lavoro svolto dalle ditte esterne – o almeno solo quelli – ma a ben vedere, il focus vero potrebbe stare da un’altra parte: in quella politica della riduzione dei costi – a tutti i costi, se il gioco di parole non appare troppo scontato – che l’azienda è intenzionata a portare avanti.
I contratti Già, perché i contratti con ConsImec sarebbero più onerosi, per Ast, rispetto a quelli con Ternirisorse, la quale potrebbe applicare un ‘listino’ scontato in virtù del diverso rapporto di lavoro che a sua volta imposta con i propri dipendenti e che risulterebbe essere – tra industria e artigianato la differenza è notevole – decisamente vantaggioso.
Il ‘tacito accordo’ Poi c’è un altro aspetto non trascurabile: i due consorzi, di fatto, operano – o forse si dovrà dire che operavano – all’interno di Ast rispettando una sorta di tacito accordo: ConsImec si occupa delle lavorazioni collegate ai reparti ‘a caldo’, mentre le attività di Ternirisorse sono collegate alle produzioni ‘a freddo’. Fino ad oggi, almeno. Da ottobre potrebbe cambiare tutto. Portando alla luce quello che si paleserebbe come un vero e proprio putsch operato in danno delle aziende che resterebbero tagliate fuori. E forse non è un caso che l’Ast abbia detto di non poter rispondere all’invito che le aveva inviato la direzione territoriale del lavoro per il 2 ottobre prossimo. Si sarebbe dovuto parlare di altro, ma perché rischiare?
CasArtigiani E forse non è casuale che proprio in queste ore abbia fatto sentire la sua voce anche Ivano Emili, presidente di CasArtigiani: «Prendiamo atto dell’impegno della proprietà a far tornare l’acciaieria al pari del passato anzi più in grande e concordiamo con ciò che la Camusso ha richiesto e cioè innovazione e maggiori relazioni. Queste due affermazioni, però sono solo i titoli di un tema che deve essere tutto svolto e a cui non è possibile dare contenuto senza il contributo di un un attore fondamentale, la Piccola e Media Impresa. Cioè quella rete di Pmi che rappresentano il tessuto sociale, che fanno parte integrante del territorio, sono e devono continuare ad essere interlocutori per le rappresentanze istituzionali, sociali e la multinazionale. Mi domando: e le tante Pmi che lavorano per Ast (il cosiddetto indotto in cui lavorano migliaia di persone)? E l’innovazione delle Pmi che operano sul territorio? E le relazioni ed il rapporto tra questo mondo e la multinazionale? Se non c’è risposta a queste domande, la fabbrica si allontanerà sempre più dalla città, dal suo territorio, dal tessuto sociale e diverrà una pratica da sbrigare fra operai e proprietà con l’intervento, se del caso, del governo. Ognuno tenderà a pensare a se stesso, a come sopravvivere con la conseguenza che la città e la fabbrica saranno due corpi estranei». Ed a rimetterci non potrà che essere la città e la sua gente.