Speranze uccise sulla strada: l’inferno delle prostitute-schiave

Perugia, la squadra Mobile ha arrestato due coniugi nigeriani che avevano messo in piedi una ‘tratta’ di giovani fra l’Africa e l’Italia

Condividi questo articolo su

di Gaia Nicchi

È grazie al coraggio di una donna nigeriana, che all’epoca dei fatti aveva appena 20 anni, che la polizia di Perugia ha potuto garantire alla giustizia tre connazionali della giovane: marito e moglie, rispettivamente di 45 e 40 anni, e un 25enne. Per la coppia le accuse sono di associazione a delinquere finalizzata ai reati di riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, tratta di esseri umani e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Entrambi residenti a Fontivegge, dallo scorso 24 aprile sono stati ristretti in carcere su ordine del gip di Perugia. Il 25enne è stato invece indagato a piede libero.

IN ESTATE IL BLITZ CONTRO IL CLAN DI SFRUTTATORI

«Ribellatevi, denunciate»

A fornire i dettagli dell’operazione, venerdì mattina in questura, sono stati Adriano Felici, responsabile della sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Perugia e Claudio Bordini, portavoce della questura che hanno sottolineato «l’importanza di denunciare sempre e a ogni livello le violenze subìte. Questa operazione è un incoraggiamento anche per altre donne a denunciare e a ribellarsi».

LA DENUNCIA DI UMBRIAONIL VIDEO

Il grande coraggio di ribellarsi

Le indagini partono a febbraio 2017, quando una ragazza nigeriana, arrivata da appena due giorni a Perugia, si rifiuta di prostituirsi. È una sfida alla ‘Madame’, la nigeriana di 40 anni che gestiva l’organizzazione. Con uno stratagemma la ragazza riesce a rientrare in possesso del suo documento di identità, a prendere il treno alla stazione di Fontivegge e a tornare nell’unico luogo, in Italia, che conosceva: il centro di accoglienza di Altavilla Silentina, in Campania, dove aveva soggiornato appena sbarcata. Lì aveva conosciuto un connazionale che le ha subito consigliato di denunciare tutto alla polizia. E così ha fatto. Ha consegnato anche i numeri di telefono dei cellulari della Madame e del marito e uno scontrino della farmacia in cui la Madame aveva comprato preservativi e creme per le ragazze che dovevano prostituirsi. Inizia, così, l’attività tecnica delle intercettazioni telefoniche.

Il ruolo della Madame, del marito e del connazionale

Dalle intercettazioni emerge che la Madame era il vertice di una organizzazione per delinquere che gestiva la tratta di giovani donne nigeriane. Il marito si occupava principalmente dell’aspetto logistico e si recava in Nigeria, grazie all’aiuto del connazionale 25enne residente nel nord Italia, per mettersi in contatto con i reclutatori nigeriani (erano coinvolte altre 4-5 persone) che ‘selezionavano’ le giovani ragazze. Quest’ultime erano povere, vulnerabili e, spesso, offerte al sodalizio dai genitori stessi. Ad aggravare la situazione c’erano i riti voodoo effettuati in Nigeria con cui le ragazze venivano ricattate.

Un lungo viaggio fra violenze e privazioni

Una volta ‘scelte’, le ragazze venivano condotte in Libia attraverso il deserto del Sahara e quindi esposte a grandi pericoli. Venivano segregate, anche per mesi, nei ghetti della Libia e sottoposte a violenze sessuali, psicologiche e private del cibo. Poi, cominciava la traversata nel mar Mediterraneo con i ‘barconi fatiscenti della speranza’. Arrivate in Italia, le giovani dovevano contattare la Madame per ripagare il debito contratto per le spese di viaggio, circa 10 mila euro. L’organizzazione, infatti, anticipava i soldi e loro avevano l’obbligo di riscattare la loro posizione.

Verso la strada

Dai centri di accoglienza si recavano a Roma e qui la nigeriana le conduceva a Perugia. Per tre giorni le istruiva, le teneva segregate in casa nel loro appartamento di Fontivegge e poi le accompagnava a Pian di Massiano, a Perugia, per prostituirsi. In questa operazione sono state individuate, oltre alla ragazza che ha denunciato i fatti, altre tre giovani donne. Un’altra si sospetta, in base alle intercettazioni telefoniche, che sia morta durante il viaggio. Nessuna di loro era minorenne e ciascuna doveva il 50% degli ‘incassi’ alla Madame.

I coniugi e il negozio ‘African shop’

I due coniugi arrestati erano regolari sul territorio nazionale e da anni residenti a Perugia. Avevano una regolare licenza commerciale con cui la donna gestiva un ‘african shop’. Il negozio è stato segnalato, proprio venerdì mattina, alla divisione di competenza della questura di Perugia. Hanno anche un figlio di appena un anno e mezzo che, al momento, si trova in carcere con la madre.

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli