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Home » Perugia, un PD diviso tra troppe anime

Perugia, un PD diviso tra troppe anime

di Lucina Paternesi
28 Agosto 2017
in Apertura 5, Politica
Tempo di lettura: 6 minuti di lettura
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di L.P.

Ordini del giorno con solo due o tre firme, conferenze stampa presenziate da un massimo di tre consiglieri per volta, comunicati stampa ‘di gruppo’ e, un po’ come a scuola, sedute sui banchi strategiche.

Il capogruppo Mencaroni

Partito diviso A tre anni e mezzo dalla sconfitta più cocente per la sinistra perugina, sembra ancora che l’assenza di una segreteria si faccia sentire. E che, all’interno del gruppo, tiri sempre quell’aria da ultimo giorno di scuola. Quando, con le vacanze estive davanti, ci si concede di essere un po’ meno diligenti che nel resto dell’anno. Tanto, poi, ci si ripensa a settembre. E’ da almeno un anno che il Partito democratico non partorisce un ordine del giorno condiviso da tutti e, su più temi, il gruppo si è spaccato facendo emergere posizioni contrastanti, voti non condivisi, voltagabbana e figuracce come, da ultimo, è accaduto con l’affaire Albo d’oro. Ora, tra poco più di un mese, si terrà il tanto atteso congresso. Nel frattempo, tra un giudizio negativo sulla giunta e un altro, di pari livello, su alcuni comportamenti dei propri colleghi, abbiamo cercato di capire che aria tira in casa Pd e, soprattutto, cosa c’è da aspettarsi da qui in avanti. «Tira aria di un partito che, purtroppo, riflette le divisioni presenti, note e palesi a tutti, a livello nazionale. E, in questo caso, anche a livello regionale». A rispondere è lo stesso capogruppo Diego Mencaroni, ‘incastrato’ in questo ruolo delicato all’indomani della disfatta di Boccali.

Provato e affaticato, Mencaroni da tempo cerca di riportare il gruppo, composto da tante anime, a un’unità che ha come obiettivo quello di ‘riprendere’ la città. «Abbiamo lavorato bene quando siamo restati uniti su tanti temi – dice – ma sappiamo che non si può continuare a uscire divisi e separati e a dare uno spettacolo impietoso di alcune divisioni interne. Scontiamo l’assenza di una segreteria da tanto tempo ma, e questa è la notizia positiva, c’è un gruppo di lavoro che, dall’interno e dall’esterno, sta lavorando con progetti e proposte e che ci traghetterà fino al congresso del prossimo quattro ottobre quando, finalmente, ci sarà un nuovo segretario. L’obiettivo è comune a tutti, è il come arrivarci che, apparentemente, può dividerci».

Parte del  gruppo in consiglio

Le anime, dunque, sono tante e le divisioni rispecchiano, per filo e per segno, quelle che si sono delineate in consiglio regionale quando, un anno e mezzo fa, l’assessore alla sanità Barberini se ne andò dalla giunta sbattendo la porta, prima di far rientro qualche mese dopo. C’è l’area bocciana pure dentro palazzo dei Priori per dirla in parole povere e, alcune spallate, non sembrano proprio del tutto casuali. C’è poi un’altra difficoltà, ammette Mencaroni: «quella di sentirsi dire, ogni volta, che non si possono contestare alcune scelte della giunta Romizi perché noi abbiamo governato nei 70 anni precedenti. Ecco, questo è il refrain a ogni interrogazione sulla mobilità e i parcheggi, sulla Ztl e via dicendo. Eppure io credo che stiamo facendo un buon lavoro denunciando le carenze e la latitanza di chi amministra questa città. Diciamo che maggiore unità darebbe un’enfasi maggiore a questi sforzi: come a dire, più voci fanno più rumore».

L’ex sindaco Wladimiro Boccali

La strada, secondo Mencaroni, è di avvicinarsi alla prossima scadenza elettorale non solo con un gruppo più unito ma, soprattutto, dopo aver recuperato quel rapporto con la città che si è evidentemente rotto nel momento in cui non è stato confermato Wladimiro Boccali alla guida di Perugia. «Per fare questo dobbiamo ricucire il rapporto con la nostra comunità, con i nostri cittadini ma anche con chi è più a sinistra del Pd e con tutte quelle anime che solitamente il centro sinistra ha sempre ospitato». Se si votasse il mese prossimo, il Pd riuscirebbe a vincere? «Credo di sì – ammette – perché ritroveremmo, per forza di cose, quell’unità che ora manca».

Il capogruppo ‘lascia’ A differenza di molti suoi colleghi – lo ammette lui stesso – Mencaroni non ama far parlare di sé. Per la carica che rappresenta i toni sono concilianti ma tradiscono anche un affaticamento che, nell’ultimo periodo, è sempre più spossante. «Non ho l’ambizione di portare avanti una carriera politica, non mi ci ritrovo in questo mondo – conclude –, preferisco il mio lavoro e l’arte. Non ho intenzione di ricandidarmi neppure. Ho assunto questa carica (è infatti entrato in consiglio come il primo dei non eletti dopo la decisione di Boccali di lasciare la politica, ndr) per senso civico e perché, a differenza di altri, voglio bene a questo partito».

Tommaso Bori

Tommaso Bori A confermare che le tante voci del Pd perugino possono essere una risorsa se si presentano come «distinte ma non distanti» è anche il consigliere comunale Tommaso Bori. Medico, tra i più giovani a palazzo dei Priori, Bori piace e non piace allo stesso tempo per il suo temperamento forte, il carattere duro e quell’aria un po’ professorale quando interviene sui temi più caldi. Secondo lui, la strada per tornare a vincere, è quella di puntare tutto su una figura che sia davvero civica. «Romizi è riuscito a diventare sindaco per questo, nonostante fosse espressione di un partito politico di cui era segretario. E’ stato il sindaco eletto con il minor numero di voti in assoluto – afferma – e nonostante la sconfitta cocente per una parte politica che è stata bocciata perché non si è saputa rinnovare, ha vinto proprio perché tantissima gente si è astenuta».

Brutte figure Sconfiggere l’astensionismo, però, è forse impresa più ardua che sconfiggere un’altra parte politica. «Certo, dobbiamo tornare a rappresentare tutta la comunità perugina, fatta di due atenei, una sanità forte, un’impresa e un commercio cui dobbiamo dare un nuovo slancio assieme a cultura, turismo, terzo settore e servizi efficienti e al passo coi tempi». Da tempo impegnato a ‘scardinare’ con forza ogni scelta fatta dalla giunta Romizi, Bori assicura che non è sua intenzione candidarsi a fare il sindaco e che, date le regole, non si ricandiderà per un terzo mandato in consiglio comunale. Ci sono poi le divisioni interne, ma anche le brutte figure non mancano. Una su tutte quella dell’Albo d’oro quando anche qualcuno del Pd non ha votato per l’iscrizione del professor Grohmann e del professor Cerulli, assieme all’Avis. «Quella è stata una brutta pagina per l’intero consiglio comunale – dice – certo questo non scagiona il Pd dalle sue colpe. Ma credo che soprattutto dovremmo puntare all’unità sui temi politici importanti, quelli che hanno definitivamente smascherato il finto civismo di Romizi, come la mancata trascrizione del piccolo Joan, figlio di due mamme. Una brutta vicenda che rischia di trascinare il comune in un rovinoso contezioso giuridico con tanto di risarcimento».

La giunta Romizi

Il giudizio sulla giunta Parole non tenere nei confronti della nuova amministrazione. «A parte la brutta figura con la vicenda della lettera alla Caritas, se devo dire chi sta cercando di gestire al meglio la sua delega mi sembra l’assessore Cicchi». Gli altri, tutti bocciati? «L’assessore alla scuola Wagué probabilmente verrebbe bocciato anche dalla stessa giunta. Calabrese mi sembra più impegnato in una campagna elettorale permanente piuttosto che pensare a risolvere alcuni problemi di questa città. Il grande ambientalista Barelli è quello che sta mettendo il cemento agli Arconi, è riuscito a incasinare ancora più di quanto potesse la partita sui rifiuti e ha mostrato una gestione del verde pubblico pessima, la peggiore degli ultimi 20 anni. Che dire poi dell’assessore al bilancio Bertinelli: ha gestito tre appalti, quello per gli impianti sportivi è durato appena tre mesi, nelle mense scolastiche sono arrivati i Nas e si è dovuto rifare tutto daccapo, mentre secondo noi ci sono opacità anche in quello per la gestione dei musei. Per la mobilità la Casaioli non ha recepito nemmeno i fondi per la mobilità notturna, ha concesso ancora più strisce blu alla Sipa e parcheggi a pagamento anche all’ora di pranzo. Fioroni è un grande venditore, ma ci si può basare sul marketing un anno, due al massimo, ma poi servono i contenuti. Prisco è più interessato a traslocare a Roma anziché fare l’ assessore a Perugia, mentre Romizi ha una grande dote: cercare di apparire il meno possibile dove ci sono i problemi e il più possibile dove si prendono gli applausi. E’ un maestro di immobilismo dinamico, in città non cambia nulla, non c’è visione o prospettiva, non facendo non sbaglia. Chi ho dimenticato?». La Severini. «Ah beh, che dire! Perugia era una città culturale, anche di respiro internazionale, era sempre stata vitale. Ora per tutto l’anno c’è un’assenza di iniziative, l’ultima gestione dei musei lo dimostra. A lei si deve il monopolio delle risorse culturale da parte di una rievocazione inventata di sana pianta e che ha spaccato la città, per cui gli altri grandi eventi culturali di richiamo, da Umbria Jazz al Festival del giornalismo, si devono spartire le briciole».

Una visione impietosa. Non ha fatto nulla di buono Romizi? «Non voglio essere presuntuoso, ma non mi viene in mente nulla se non la capacità di intercettare fondi importanti a livello nazionale. Quelli, per dire, che permetteranno la riqualificazione di Fontivegge con 16 milioni di euro o che hanno portato la fibra ottica. Ma anche l’Art Bonus». Allora cosa serve per rilanciare Perugia? «Politiche mirate per creare opportunità di lavoro per tutti, in primis i giovani che escono dai nostri atenei. Poi, servizi alla persona che, in un momento di crisi economica, devono essere migliorati e non tagliati, non solo servizi sociali, ma anche aree verdi, sport, cultura. E infine la mobilità, sia alternativa che di trasporto pubblico, ma anche quella delle persone. Costruire opportunità per ospitare atenei e imprese a livello internazionale, cioè andare all’estero e poi tornare e migliorare la propria città, in modo che Perugia torni ad essere attrativa per chi viene da fuori. Pensiamo alle case sfitte che ci sono oggi e ai dati sulle attività commerciali: nell’ultimo anno ha chiuso un’attività al giorno. Perugia così muore».

 

 

 

 

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