Don Vincenzo ai domiciliari nella casa di recupero per preti

Il tribunale ha escluso un ritorno a San Feliciano: lascia il carcere di Spoleto e starà a ‘Villa Sacro Cuore’ Bisacchi, nel comune di Città di Castello. Non potrà usare smartphone. Il mistero della perquisizione

Condividi questo articolo su

di P.C.

Don Vincenzo Esposito, l’ex parroco di San Feliciano, sul Trasimeno, accusato di prostituzione minorile aggravata per aver scambiato messaggi erotici con ragazzini, lascerà il carcere di Spoleto. Attenderà il processo in una comunità di recupero per sacerdoti, dove seguirà un protocollo terapeutico ad hoc.

Braccialetto elettronico

Lunedì mattina i giudici hanno disposto per lui la sostituzione dell’attuale misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari presso la casa sacerdotale ‘Villa S. Cuore’ Bisacchi, Città di Castello (PG), subordinando l’esecuzione di tale provvedimento alla condizione che sia disponibile ed attivabile il braccialetto elettronico e che l’imputato presti il consenso alla sua installazione.

IL CASO DON VINCENZO ESPOSITO

La casa di recupero per preti ‘smarriti’

Villa Sacro Cuore è una struttura gestita dalla diocesi di Città di Castello dove, in accordo con le Conferenza episcopale italiana, vengono ‘riabilitati’ i preti che – per usare un linguaggio clericale – «si sono smarriti nel loro cammino pastorale». Si trova appena fuori il centro cittadino, è dotata di 56 posti letto. Fu trasformata ed adibita a casa di accoglienza per sacerdoti con problemi nel 2011 quando, nel pieno dello scandalo dei preti pedofili, ci fu l’esigenza di creare dei luoghi discreti dove questi potessero essere nascosti. La villa, immersa nelle campagne umbre e protetta da una recinzione, ha accolto numerosi sacerdoti, umbri e non solo, i cui nomi sono comparsi nelle pagine della cronaca dei quotidiani.

«Carcerazione era extrema ratio»

La decisione è stata presa dall’ufficio del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo. Nel provvedimento si legge come «la custodia cautelare in carcere sia solo l’extrema ratio e può essere mantenuta soltanto nei casi in cui ogni diversa misura si presentasse inidonea o inefficace per il soddisfacimento delle esigenze cautelari». Invece – scrive il giudice – la misura dei «domiciliari con braccialetto elettronico in una struttura di recupero di sacerdoti con problemi psicologici sembra poter garantire, salvo prova contraria, quelle esigenze di controllo e sorveglianza dell’indagato, che verrebbe sottoposto alle regola di disciplina vigenti presso la comunità religiosa». Fra le regole imposte: il divieto di utilizzo di qualsiasi apparecchio telefonico o strumentazione telematica che gli permetta di comunicare verso l’esterno.

Un camion ha portato via le sue cose a San Feliciano

Del resto, era inimmaginabile per Don Vincenzo tornare nell’abitazione di San Feliciano, come inizialmente chiesto dal suo legale, l’avvocato Renato Vazzana: in quella abitazione ora vive il nuovo parroco di San Feliciano, nonché amministratore parrocchiale. A lui il compito di far riavvicinare i fedeli e di amministrare le finanze della chiesa lacustre, su cui c’erano molti dubbi da parte dei parrocchiani, al momento non suffragati da prove: l’analisi condotta dalla Curia non ha rilevato anomalie nella gestione dei conti, fra l’altro tenuti dal diacono. Nei giorni scorsi, avvistato un camion di una ditta di traslochi che ha portato via tutto. Non si sa se verso la Sicilia o proprio verso Città di Castello.

Il furto, la mancata perquisizione e altri misteri

«La speranza è che non si sia portato via pure qualche prova», commenta uno dei fedeli che ha assistito al trasloco, ricordando che già c’erano stati dei tentativi di inquinamento delle prove e che al momento non sono emersi elementi su una perquisizione all’interno della canonica nelle ore immediatamente successive all’arresto, come del resto ha confermato a umbriaon.it lo stesso avvocato Vazzana: «Nessun verbale di perquisizione ci è stato consegnato, né a me né al mio cliente; intanto però segnaliamo che nei giorni successivi all’arresto c’è stato un furto in quella casa». Magari era una bravata, magari un atto di vandalismo. E se invece fosse stato un modo per occultare prove? Ulteriori elementi sulla vicenda saranno forniti dallo stesso Don Vincenzo, che la prossima settimana incontrerà il suo avvocato nella casa di accoglienza tifernate.

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli