Terni, call center: «Cornute e mazziate»

Erano rientrate in azienda dopo lo sciopero di marzo: «Ma abbiamo fatto male». Ora attaccano tutto e tutti

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di F.T.

Loro sono fra quelli che dopo il fragoroso sciopero al call center di via Bramante, avevano deciso di dare un’altra chance all’azienda («anche su consiglio dei sindacati», ci tengono a precisare). ‘Loro’ sono una decina di lavoratrici – ex ormai – di Overing e K4Up. Dopo la protesta andata avanti per oltre un mese fra la fine di febbraio e la fine di marzo, erano rientrate – a differenza della maggioranza – al proprio posto di lavoro: «Per senso di responsabilità e perché credevamo ancora di poter ottenere qualcosa. Ma ci siamo sbagliate». ‘Pentite’, si direbbe: «Ma abbiamo seguito un percorso ragionevole e – crediamo – equilibrato. Ci abbiamo provato. Il punto è che lavorare per non essere pagate non ha senso e ora, dopo aver presentato le dimissioni, siamo pronte a portare avanti la nostra battaglia da sole».

Solitudine Quel «da sole» è la premessa per un attacco a 360 gradi che non risparmia niente e nessuno: «I problemi sono sempre quelli: contributi mai versati e stipendi che non si riesce ad ottenere – dicono -. A fronte di questa situazione, abbiamo assistito a decine di riunioni e tavoli inutili, conditi da parole vuole e mai seguite dai fatti. Tanto che la proprietà di Overing e K4Up, con quest’ultima che si dice sia in liquidazione, ha continuato a fare il bello e il cattivo tempo sulle spalle nostre». Sul banco degli imputati ci finiscono così le istituzioni – «tutte, dal Comune alla Direzione del lavoro, dall’Inps alla prefettura che, nei fatti, consentono ad un imprenditore che non mantiene i propri impegni di continuare ad operare senza troppi problemi» – e i sindacati: «Cisl, Uil e Cgil: tutti, ma qualcuno più degli altri, troppo accondiscendenti verso la proprietà e troppo impegnati a tutelare l’attività piuttosto che i nostri diritti».

Il balletto A pesare sul ‘dietrofront’ di questa decina di lavoratrici, oltre ai contributi mai versati, sono stati i continui rinvii per ottenere gli stipendi arretrati. «Prima e dopo le nostre dimissioni – racconta una ragazza – abbiamo chiesto a più riprese, in maniera cortese ma ferma, di poter avere quello che ci spettava, ovvero le mensilità di aprile e maggio. Non un prestito né elemosine, ma il giusto compenso per il lavoro svolto. Risultato? Un rinvio dietro l’altro e neanche un euro incassato fino ad oggi. Neppure l’ombra di una busta paga».

Rinvio dopo rinvio «La prima scadenza – ricordano – è stata quella del 30 giugno, dopo che gli stipendi di febbraio (mensilità che i lavoratori usciti dall’azienda dopo la protesta devono ancora percepire, ndR) erano stati liquidati il 17 giugno. La seconda scadenza ‘a vuoto’ risale al 15 luglio: in quell’occasione ci era stato spiegato che il possibile ingresso di un nuovo socio in Overing, avrebbe potuto risolvere diversi problemi. A quel punto in assenza di riscontri – spiegano le ex lavoratrici – ci siamo rivolte a un sindacalista che ci ha condotte dal titolare. Lì, così come nell’ultimo tavolo in prefettura, è emersa la nuova data del 30 luglio per il pagamento degli arretrati, unita al possibile ingresso di più soci, non più uno solo, che avrebbero potuto portare ossigeno all’attività». I giorni passano, il 30 luglio arriva, ma nulla si muove: «Quel giorno, dopo diverse chiamate a vuoto al sindacalista a cui ci eravamo affidate, siamo tornate in azienda ma in pratica ci hanno accusate di esserci inventate tutto, a partire dalla scadenza stabilita».

L’errore È lì, in pratica, che le ex lavoratrici Overing e K4Up decidono di andare per la propria strada e portare avanti da sole la battaglia: «Guardiamo le cose come stanno: fino ad oggi abbiamo sentito solo tante chiacchiere. Non a caso siamo ancora al punto di partenza. Come Overing – attacca una di loro – gli ultimi contributi versati risalgono al 2013, peraltro su compensi calcolati non correttamente. Dire che questi rimpalli continui fra istituzioni e sindacati ci hanno stufato, è dire poco». Poi il discorso, inevitabilmente si allarga: «Abbiamo tutte una famiglia, teniamo alla nostra dignità e di certo non moriremo di fame, anche se fra spese e bollette è dura e la serenità non c’è. L’errore più grande è stato forse quello di dare nuovamente fiducia a questa proprietà. Chi si ne è andato, ha perso solo un mese. Noi rischiamo di perderne due. Ma faremo di tutto perché non finisca qui».

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