Comune Terni vs UniPg per ingiunzione da 28 mila euro: palazzo Spada ko

C’è la sentenza del Consiglio di Stato: confermato il giudizio del Tar. Chiusa una vicenda sviluppatasi con il protocollo d’intesa del 2005 per il laboratorio di biotecnologie

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di S.F.

Partita chiusa e il Comune di Terni va ko contro l’università degli studi di Perugia. Il Consiglio di Stato – VII sezione giurisdizionale, presidente Daniela Di Carlo – ha messo la parola fine alla contesa per l’ingiunzione da quasi 30 mila euro riguardante la realizzazione e la gestione del laboratorio di biotecnologie del complesso di Pentima: c’è la conferma del giudizio del Tar Umbria. Lo scontro giudiziario si chiude a quasi sei anni dal ricorso al Tribunale amministrativo regionale.

LA VICENDA NEL DETTAGLIO: SCONTRO COMUNE-UNIPG

Foto archivio

L’accordo del 2005

Il Comune di Terni aveva impugnato l’ingiunzione di pagamento da 28.689 euro partita dall’università degli studi di Perugia. Una storia che nasce quasi vent’anni fa, il 18 luglio 2005: è allora che Comune, Regione e UniPg firmarono il protocollo d’intesa per la gestione del laboratorio di biotecnologie, con l’impegno da Perugia a farsi carico delle procedure di appalto con accollo delle spese fino ad un massimo 1 milione 250 mila euro. Palazzo Spada  – difeso dagli avvocati Paolo Gennari e Francesco Silvi -invece aveva assunto l’impegno a reintegrare tali esborsi a titolo di contributo. Fin qui tutto chiaro, con la Regione che non si è costituita in giudizio. Perché si è arrivati a tutto ciò dunque?

Corte dei Conti dell’Umbria

L’anticipo e la Corte dei conti

Il contenzioso riguarda gli esborsi anticipati dall’università per i lavori di progettazione (4.889 euro) e di trasloco (23.800) per i quali UniPg aveva già chiesto il rimborso nel settembre 2011. Il Comune al Tar si era difeso facendo presente che l’accordo 2005 non era mai stato attivato, «essendo stato piuttosto superato dal successivo protocollo del 2012, con il quale era stato pattuito lo spostamento del laboratorio di biotecnologie presso il diverso sito di Colle Obito». Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto il ricorso comunale nel 2021 trasmettendo gli atti alla procura della Corte dei conti. Motivo? «La mancata iscrizione in bilancio avrebbe la paradossale conseguenza di consentire all’amministrazione di giovarsi di una propria non corretta gestione del ciclo di bilancio per venire meno ai propri impegni assunti. La successiva approvazione di un nuovo protocollo d’intesa nel 2012, con cui è stata convenuta la realizzazione del predetto laboratorio, non assume rilievo (poiché) le spese per cui l’università resistente ha chiesto il rimborso sono relative ad anni precedenti e non risulta che il nuovo protocollo abbia comportato un accordo modificativo delle pattuizioni». Si è giunti al Consiglio di Stato.

Il tentativo del Comune

Per il Comune il Tar non ha considerato «la previsione di cui al comma 4 dell’art. 191 del d. l.vo n. 267/2009, espressamente invocata dal Comune di Terni, secondo cui, nel caso in cui al formale incarico professionale non sia correlato il corrispondente impegno di spesa, il rapporto obbligatorio intercorrerebbe tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lettera e). Per le esecuzioni reiterate o continuative, detto effetto si estenderebbe inoltre a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni». In più il tribunale «avrebbe anche errato nel non considerare che non sussiste la prova dell’esistenza del credito, in quanto le fatture prodotte in giudizio non sarebbero suscettibili di rappresentare un comportamento processuale implicitamente ammissivo del diritto sorto dall’atto negoziale non esibito». In sostanza gli avvocati hanno messo nel mirino l’esistenza del credito e la sua esigibilità con ingiunzione fiscale.

Il giudizio del Consiglio di Stato

C’è un problema ed i magistrati della VII sezione lo evidenziano: «Il Comune, nell’invocare il richiamato comma 4 dell’art. 191 del d.l.vo n. 267/2009, non ha dimostrato che vi sia stata la prevista ‘acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3’, tale da rendere le previsioni della convenzione in esame, in corso di validità e non ancora modificate da altra convenzione al momento dei fatti, non applicabili ai fini del dovuto ristoro, da parte del Comune e in favore dell’Ateneo universitario, delle spese da questi effettuate in via di anticipazione. Tali spese, infatti, risultano debitamente fatturate e compiutamente riferite agli interventi dell’università posti a carico del Comune, trattandosi di lavori effettuati per suo conto e nel suo interesse, e quindi le stesse sono state esattamente documentate dall’Università nel rispetto dei patti intercorsi ed alla stregua di un criterio di diligenza e di tutela della buona fede. Al contrario, così come esattamente statuito dalla sentenza appellata, risultano del tutto irrilevanti le mancanze formali (assunzione dell’impegno di spesa) addotte dal Comune a giustificazione del proprio inadempimento, ma addebitabili, in realtà, solo al proprio comportamento, e se del caso valutabili in altre sedi, avendo il giudice di primo grado già trasmesso gli atti di causa alla Procura della Corte dei conti». Appello respinto e storia chiusa.

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